lunedì 12 maggio 2014
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Se ne parla di più. Non ancora abbastanza, ma sicuramente con maggior attenzione di quella che solo pochi anni fa i media internazionali riservavano al dramma della persecuzione dei cristiani nel mondo. «Anche da noi in Italia si applicava il criterio più cinico, quello della quantità: la notizia era considerata tale solo da un certo numero di vittime in su», ammette il direttore della Stampa, Mario Calabresi, nel corso del dibattito su “Emergenza diritti umani” che Avvenire ha organizzato al Salone del libro insieme con l’associazione Sant’Anselmo e sotto il patrocinio del ministero degli Affari esteri. Francesco Antonioli del Sole 24 Ore modera il dialogo di Calabresi e del direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, con lo storico Andrea Riccardi, che nel suo ruolo di fondatore della Comunità di Sant’Egidio si è trovato più volte a stretto contatto con gli esiti di uno stillicidio ininterrotto e impressionante. La rassegna delle “zone calde” lascia senza fiato, la rievocazione dei casi più noti rischia di acuire il latente sentimento di colpa che, avverte Riccardi, i cristiani d’Occidente devono decidersi a superare. «Giovanni Paolo II è stato il primo a intuire che per i credenti il Novecento era stato il secolo del martirio – dice –, adesso è arrivato il momento di affermare che il vero ecumenismo non sta nelle dichiarazioni di principio, ma nel sangue di quanti, dall’Iran al Messico e dalla Corea del Nord al Mali, pagano di persona per la loro fede. Rendersene conto, però, è ancora troppo poco. Occorre un’assunzione di responsabilità forte ed efficace anche a livello istituzionale». In sala risuonano i nomi di padre Paolo Dall’Oglio e degli altri religiosi prigionieri in Siria, si ricorda l’interminabile detenzione di Asia Bibi in Pakistan, si rievocano le studentesse rapite da Boko Haram in Nigeria. «Non è questione di appartenenza a una determinata confessione religiosa – sottolinea Tarquinio –, per quanto sia innegabile che, su duecentomilioni perseguitati nel mondo, tre quarti siano cristiani. Dall’11 settembre in poi abbiamo avuto la dimostrazione che le guerre non portano ad alcuna soluzione. La via da percorrere sta nella ricerca di una nuova forma di reciprocità tra le fedi: una reciprocità asimmetrica, potremmo dire, per cui ai cristiani, portatori del principio di laicità e di convivenza nelle differenze, spetta il compito di impegnarsi di più, con maggior convinzione».L’orizzonte è, ancora una volta, stabilito dal pontificato di Francesco. «Che i mezzi d’informazione occidentali riservino grande attenzione al Papa è evidente – commenta Calabresi –, resta da capire in che modo la sua figura potrà influire sugli equilibri globali». Il viaggio in Terrasanta è imminente, ma Riccardi invita ad allargare lo sguardo: «Il carisma di Bergoglio inizia a essere riconosciuto, per esempio, dagli stessi media arabi, al-Jazeera in testa. Si tratta di un segnale molto incoraggiante, al quale deve però accompagnarsi una rinnovata azione diplomatica da parte della Santa Sede. E in questo il precedente a cui guardare rimane il ruolo svolto dalla diplomazia vaticana su impulso di Giovanni Paolo II».
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