venerdì 21 maggio 2021
La città dove il poeta morì è l’altro polo romagnolo che, con Forlì, si divide l’onore di celebrarlo. Vengono colti i rimandi fra l’Alighieri e i maestri dell’arte, con prestiti stranieri prestigiosi
Maestro della Croce, “San Francesco riceve le stimmate”

Maestro della Croce, “San Francesco riceve le stimmate” - .

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Aveva un rapporto speciale Dante con la Romagna. Sono infatti ben quindici i Comuni di questa terra citati dal sommo poeta nella Commedia e, in diversi casi, anche visitati. Tra questi hanno avuto un peso particolare il Comune di Forlì dove ha soggiornato presso gli Ordelaffi, signori ghibellini della città, nel 1302, quando ha iniziato il suo esilio, e il Comune di Ravenna dove giunse probabilmente nel 1319 e dove soggiornò fino alla fine dei suoi giorni nel 1321. Entrambe le città hanno dedicato due importanti mostre al poeta in occasione del settimo centenario della morte. Quella, ricca e monumentale, di Forlì di cui abbiamo recentemente parlato, è dedicata alla complessità della figura di Dante, mentre questa che si è appena aperta a Ravenna, nella chiesa di San Romualdo, è focalizzata sulle principali tappe del suo esilio riunendo le testimonianze artistiche, emblematiche e di assoluta eccellenza, da cui il poeta ha attinto e che hanno influito sul suo immaginario.

La mostra ha per titolo Le Arti al tempo dell’esilio (fino al 4 luglio, catalogo Silvana) ed è curata da Massimo Medica che si è posto l’obiettivo di far rivivere nel visitatore, per dirla con le parole di Virgilio, l’«esperienza piena » vissuta da Dante nel corso del suo pellegrinaggio nelle varie corti dell’Italia centro-settentrionale. Il percorso espositivo è allestito nella chiesa monastica di San Romualdo, di origine camaldolese, dove si è accolti dalla scultura in bronzo dorato di Bonifacio VIII, il papa che indusse Dante a fuggire da Firenze. Qui era nato e vissuto godendo della notevolissima fioritura artistica che era culminata con l’esperienza di Cimabue (documentata in mostra con la Madonna col Bambino di Castelfiorentino) e poi da quella dell’allievo Giotto (qui presente con la Madonna di San Giorgio alla Costa e con il Polittico di Badia) di cui Dante dovette conoscere le opere, come attestano le celebri terzine dell’XI canto del Purgatorio.

Lasciata Firenze il percorso della mostra prosegue seguendo l’itinerario compiuto da Dante, soffermandosi dapprima su opere che introducono alla vita della corte pontificia a Roma che il poeta ebbe occasione di visitare (1300-1301) prima di ricevere la notizia della sua condanna e del definitivo esilio. Il suo peregrinare, dopo aver toccato Forlì, lo portò a Verona, prima nel 1303-1304 e poi nel 13131318, ponendosi sotto la protezione di Cangrande della Scala. Preziosi tessuti, oreficerie e sculture del Maestro di Sant’Anastasia documentano questo periodo nel corso del quale Dante soggiornò anche a Padova dove Giotto stava lavorando alla Cappella degli Scrovegni, opera tanto innovativa da spingere il poeta ad affermare nel XI canto del Paradiso che «ora ha Giotto il grido». I preziosi manoscritti miniati della scuola bolognese del tardo Duecento e del primo Trecento insieme alla sontuosa Bibbia decorata dal Maestro della Bibbia di Gerona, prestata dal madrileno Monastero dell’Escorial, caratterizzano la sezione dedicata al passaggio di Dante da Bologna cui fanno seguito le tappe di Lucca e Pisa documentate da opere di Nicola e Giovanni Pisano.

Ecco infine l’ampia sezione dedicata all’approdo a Ravenna dove si era da poco insediato al potere Guido Novello da Polenta e quando operavano in città Giovanni e Giuliano da Rimini di cui viene presentato il polittico dell’Incoronazione della Vergine, angeli, santi e scene della Passione di Cristo unitamente a numerose altre testimonianze della produzione scultorea tra cui la duecentesca Madonna in trono con Bambino, proveniente dal Louvre, che originariamente sormontava il sarcofago con le ceneri del poeta.

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