sabato 20 luglio 2013
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Nel 2004, a pochi metri dalla chiesa di San Vito di Romagna (Rimini), accanto all’alveo dell’Uso e alla via Emilia Vecchia, sotto i resti di un bel ponte medievale in laterizio isolato nei campi, degli scavi hanno rintracciato un cospicuo ponte romano di pietra, di età augustea. La configurazione doveva essere impressionante: composto di ben otto arcate, inferiori di diametro, ma nell’insieme superiori di lunghezza (90 m. ca) rispetto alle cinque del maestoso ponte di Augusto-Tiberio di Rimini (14-21 a.C.). L’imponenza del monumento provoca una domanda intrigantissima: perché mai i Romani avrebbero costruito un ponte di tali dimensioni, per un torrente di portata modesta, se non c’era un motivo che eccedeva la necessità pratica? Attentissimi ai segni, i Romani l’avrebbero eretto grandioso perché era un simbolo. Esso avrebbe segnato il limes, il confine tra la Gallia cisalpina e la Repubblica romana, che Cesare oltrepassò in armi di ritorno dalle guerre galliche, ribellandosi al senato. Il fiume Uso, torrente indocile, nato dal monte della sulfurea Perticara, sarebbe dunque il famoso Rubicone, conteso con il Fiumicino di Savignano, e con il Pisciatello di Cesena, finché nel 1933 Mussolini non decretò arbitrariamente che il Rubicone fosse il Fiumicino, così che Savignano di Romagna si chiamò da allora Savignano sul Rubicone.Per identificare il Rubicone con l’Uso manca la testimonianza epigrafica, la più decisiva. Solo uno scavo più ampio potrebbe forse farla ritrovare, ma intanto la scoperta della grandezza del manufatto ha resuscitato uno dei quesiti più celebri tra gli studiosi (e i campanilisti). La trasgressione di Cesare fu cruciale. Portò alla guerra civile e alla trasformazione della repubblica nell’impero, determinando le sorti future del mondo. "Alea jacta est", "il dado è tratto", e "varcare il Rubicone" sono diventate metafore di ogni scelta senza ritorno, dalle conseguenze definitive e incontrollabili.Prima degli scavi, nel 1988 Giovanni Rimondini aveva già inseguito brillantemente l’ipotesi per vie storiche. Esamina le fasi più significative: la centuriazione (iniziata nel 268 a.C, e tra il 220 e il 187 definita dal tracciato della via Flaminia, e poi dell’Emilia), dove il triangolo conoide del Marecchia ha per lato ovest proprio l’Uso; la presenza della pieve, anteriore alla menzione dell’889-898, che fa presumere un’antecedente area sacra, così importante da mettere in secondo piano le continue esondazioni dell’Uso. Dopo la sopraelevazione di età malatestiana (XIV-XV sec.), il suo alveo si sposta. Già in età rinascimentale, si inizia a smantellare il ponte: nel 1550 Leandro Alberti ne ricorda le vestigia e l’antichità, mentre nel 1680 le belle pietre d’Aurisina e Rosso di Verona servono al restauro del ponte di Rimini, e di numerosi altri edifici. Una mappa del 1825 disegnata dall’ingegnere Maurizio Brighenti (Genio civile di Rimini, Archivio di Stato di Forlì), è l’ultima testimonianza dettagliata dell’area, prima della riduzione moderna. Marcello Cartoceti, il valente archeologo che con l’associazione A.R.R.S.A. ha condotto gli scavi per la Soprintendenza (richiesti da Tiziano Arlotti, assessore ai Lavori pubblici, in accordo con mons. Giuseppe Celli, premuroso del patrimonio storico della parrocchia), ne ha pubblicato i resoconti con Elena De Cecco su "Adrias" (n. 2, 2006). Qui fornisce le prove della datazione augustea, tanto che Lorenzo Braccesi vi rilancia l’ipotesi della costruzione simbolica relativa al limes del Rubicone, ricordando che nel 42 a.C. Augusto estende il confine dell’Italia alle Alpi, creando la "Tota Italia". Mi piace ricordare che Augusto Campana (1906-1995), attentissimo ai suoi luoghi (si veda per il tracciato della via Emilia e il Ponte di San Vito, in Pietre di Rimini. Diario archeologico e artistico riminese dell’anno 1944, a cura di G. Campana, Edizioni di storia e letteratura, p. 52), se ne interessò tra il 1952 e il 1955, come ricorda la figlia Giovanna, guidandovi Lucos Cozza (1921-2011): chissà se ne serba memoria il fondo dell’illustre archeologo, ora nella British School at Rome? Ci si augura che si facciano nuovi scavi più ampi e approfonditi. L’area è un patrimonio dove Rimini rispecchia la sua origine di frontiera fatta da soldati contadini su cui scrisse pagine saporose Giancarlo Susini (1927-2000). Veniva dai populares di Flaminio, di Mario, di Cesare, la "gente intraprendente" che con la stessa caparbia capillarità che rese la Romagna un giardino di campi tagliati ad angolo retto, oggi è leader del turismo. Nel turismo tutto fa brodo, ma con la sua storia straordinaria questo luogo, quasi un’isola dentro un paesaggio assediato, può dare le ali a interessi di natura molteplice. Anche se dubito che ricominceremo a rispettare il valore del limes, del limite, quella misura alla quale i Romani attribuivano tanto rispetto, e sulla quale avevano fondato quasi tutta la loro cultura, materiale e spirituale. L’avrà capito la troupe giapponese di Kyodo News, accorsa subito, prima di ogni altro…
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