Lo storico Paolo Prodi (1932-2016)
Anticipiamo il testo inedito, che verrà pubblicato sul prossimo numero di “Humanitas” (edita da Morcelliana), della conferenza tenuta da Paolo Prodi a Brescia il 26 febbraio 2009 per un ciclo di incontri dal titolo: “Quale Chiesa?”. A quella iniziativa promossa dalla Fondazione Calzari Trebeschi, parteciparono oltre a Prodi, anche Daniele Menozzi e Giovanni Filoramo. Questo testo rappresentò la cellula originaria da cui nacque poi il libro “Il paradigma tridentino. Un’epoca della storia della Chiesa” (Morceliana 2010).
Quando inizia la prima espansione dell’Europa nel mondo, nella seconda metà del Quattrocento questo movimento, che assume sotto l’aspetto culturale il nome di umanesimo o rinascimento, acquista un moto accelerato sempre più forte. Non si tratta di un processo di secolarizzazione a senso unico, ma di un fenomeno che mette in discussione tutto l’impianto teorico e l’organizzazione della Chiesa medievale. Il moderno nasce con un forte richiamo religioso in tutti i movimenti di riforma che hanno caratterizzato il tardo Medioevo e la prima età moderna, sia nella grande espansione degli ordini mendicanti (francescani, domenicani, eccetera) che ha accompagnato la crescita delle città mercantili, sia nella cosiddetta devotio moderna che ha diffuso nel Quattrocento in tutta l’Europa il senso della trascendenza e il richiamo alla coscienza individuale che sarà più tardi la base dell’appello della Riforma.
Se si accetta la tesi che la modernizzazione coincide con la secolarizzazione, il processo di modernizzazione sarà visto come una lotta tra le nuove idee razionaliste, teiste o immanentiste, che trionfano con l’illuminismo dopo una lotta secolare, e un vecchio mondo dominato dall’oscurantismo. Se si accetta una visione più complessa si potrà vedere che la prima tappa di questo processo di modernizzazione avviene nel corso del Medioevo stesso, con lo sviluppo del pensiero teologico- filosofico e la graduale affermazione di una religione, il cristianesimo occidentale, che pone in primo piano il tema della trascendenza di Dio rispetto al mondo e che – con la fusione tra la dottrina cristiana e la filosofia classica – restituisce quindi al mondo una sua autonomia dalla sfera del sacro. Sulla base di queste grandi coordinate cronologiche e spaziali soltanto ora siamo in grado di cogliere con la necessaria distanza il significato della Riforma protestante e della stessa riforma cattolica promossa dal Concilio di Trento, avvenimenti con i quali di solito si apre nei manuali di storia l’età moderna.
In realtà questi avvenimenti non ci appaiono più come un’improvvisa esplosione o come una reazione alla corruzione e agli abusi che si erano introdotti nella vita ecclesiastica, ma come la conclusione di un lungo periodo di crisi della cristianità medievale: non un punto di partenza, ma in qualche modo il culmine, il punto di arrivo di un processo di trasformazione sia nel nuovo rapporto dell’individuo con Dio, sia nel rapporto pubblico tra il sacro e il potere, tra la Chiesa e lo Stato. Con il grande scisma d’Occidente fra il Trecento e il Quattrocento si incrina l’unità della cristianità occidentale, la respublica christiana medievale, e fallisce l’ultimo tentativo, condotto attraverso i grandi concili di Costanza e di Basilea (di qui il nome di conciliarismo o movimento conci-liarista) nella prima metà del Quattrocento, per ricostituire una nuova unità della cristianità su base assembleare rappresentativa che sostituisse i due poli dell’universalismo medievale, papato e impero, ormai in crisi: dopo il fallimento del conciliarismo e con la trasformazione del papato stesso in principato rinascimentale la strada è ormai aperta alla metà del Quattrocento alla nascita delle nuove Chiese territoriali legate agli Stati emergenti.
Personalmente sono partito a metà del secolo scorso da neo-laureato sotto la guida di Hubert Jedin secondo le indicazioni del suo famoso libretto Riforma cattolica o controriforma? con il superamento della vecchia antinomia che dominava la storiografia precedente: da una parte la visione di una riforma portatrice della modernità e la controriforma come pura reazione e dall’altra la rivendicazione di una priorità e di una autonomia della riforma cattolica. Ciò che ha accomunato la ricerca della nostra generazione è stato lo sforzo di capire che con la riforma protestante e con il Concilio di Trento non si trattò soltanto di diversi processi – rivoluzionario il primo, riformatore il secondo – di eliminare gli abusi che si erano introdotti nella Chiesa medievale nel corso dei secoli, ma di dare una risposta ai problemi posti dalla nuova società che stava nascendo in Europa. Il fatto che la linea della Controriforma romana – del centralismo e dell’inquisizione – abbia prevalso sotto l’urgenza e la brutalità della lotta religiosa, dei fronti contrapposti (anche le minime critiche all’apparato ecclesiastico erano condannate come armi fornite al nemico protestante) non deve impedire di cogliere cammini diversi di spiritualità e via religiosa che sono rimasti in minoranza, ma hanno continuato nei secoli successivi con percorsi a volte sotterranei all’interno del mondo cattolico sino ai nostri giorni.
In fondo l’interesse al quadro uniforme e trionfante del cattolicesimo della Controriforma è stato sviluppato con comuni interessi, sia pure con giudizi opposti, dalle storiografie confessionali come da quella laicista. Non si tratta quindi di edulcorare la storia con un falso irenismo che renda uguale la Riforma protestante e la risposta cattolica in una notte in cui tutti i gatti siano bigi: le lotte e le guerre di religione fra cattolici e protestanti, le repressioni e le intolleranze costituiscono un capitolo fondamentale della storia moderna e il nostro mondo moderno è nato da queste tragedie; né tanto meno si tratta di riprendere in senso apologetico l’annosa controversia concettuale (che ha occupato generazioni di storici) tra i termini di Riforma, Controriforma, Riforma cattolica, nelle diverse convinzioni che la risposta del mondo cattolico fosse soltanto una reazione alla Riforma o invece costituisse un’altra strada parallela per rispondere alle esigenze religiose dell’uomo moderno.
Si tratta soprattutto di comprendere che tutti questi fenomeni, così diversi e in contrasto fra loro, si inseriscono nel faticoso cammino verso il moderno. Sembrano in ogni caso tramontate le visioni che tendevano a vedere nella posizione della Chiesa romana e nel Concilio di Trento soltanto un processo di reazione, di conservazione di un sistema immobile dogmatico e di un sistema sociale feudale e arretrato di fronte alle innovazioni provenienti dal nord così come sono tramontate quelle opposte che tendevano a vedere nella riforma cattolica un movimento parallelo e quasi indipendente dalla Riforma protestante, un movimento che ha soltanto combattuto le degenerazioni e gli abusi della Chiesa medievale conservando intatte le sue strutture dogmatiche e disciplinari nel passaggio epocale. In realtà tutto è cambiato sia nei Paesi cattolici sia in quelli riformati: si tratta di risposte diverse, più rivoluzionarie o riformistiche (per usare il nostro linguaggio di oggi), a un unico problema, quello della modernità, in un processo che vede nella sfera privata l’affermarsi di un nuovo rapporto tra la coscienza e il sacro.