giovedì 16 ottobre 2014
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«Che cos’è la ginnastica ritmica? Qualcosa che sta tra la farfalla e l’atleta». Così, in un articolo scritto per “La Stampa”, nel 1969, lo scrittore Giovanni Arpino raccontava incantato di otto soavi creature della Reale Ginnastica Torino (fondata nel 1844, la più antica società sportiva italiana) che si allenavano in un «luogo sobrio, fin quasi alla povertà», all’ultimo piano di un edificio di via Magenta. Da allora lo scenario della ginnastica ritmica non è cambiato, la nostre farfalle italiane sono rimaste “povere, ma belle”, sempre svolazzanti e tra le più vincenti del pianeta. Gran parte del merito dei successi a pioggia dell’ultimo ventennio (due podi olimpici, 2004-2012 e tre titoli Mondiali di fila, dal 2009 al 2011) portano la firma della “ct” Emanuela Maccarani. Nei momenti di battaglia la sua colonna sonora è la musica de “Il Gladiatore”, in quelli più sereni la melodia romantica di “Piccolo mondo antico” di Nino Rota. Carismatica, dal sorriso smaltato e “digrignato” all’occorrenza per chiedere sempre quel qualcosa in più che le «mie ragazze» possono e devono dare. È così che ha educato («non parliamo mai al passato, guardiamo sempre avanti») generazioni di crisalidi che, tra cerchi, funi, nastri, palle e clavette, poi spiccheranno il volo per diventare quelle splendide “farfalle” che hanno rapito gli sguardi ammirati dei palazzetti di tutto il mondo, e perfino di due Papi, Wojtyla e Bergoglio. Piccole donne della ritmica crescono accanto alla “Manu” e la prima regola che impartisce è quella che ha sperimentato, negli anni ’80, sulle sue ali di giovane ginnasta: «Bisogna trovarsi al momento giusto e fare la cosa giusta nel posto giusto».Sembra una frase dello “Special One” del calcio, ma lo sa che la chiamano il Mourinho della ginnastica ritmica?«La cosa mi lusinga e mi fa sorridere. I titoli vinti magari saranno gli stessi se non di più, è il conto in banca e lo stipendio a fine mese che fa la differenza tra me e Mourinho... Con la sua buonuscita o quella di un ct della Nazionale di calcio vi assicuro che si finanzierebbe tutta la ginnastica per diversi decenni».Siete messi davvero così male?«Se vogliamo la nostra è una disciplina “anti-crisi economica” – sorride divertita –. Quando sei abituato a vivere con poco, non ti rendi neanche conto del tanto che, anche nello sport, è sparito negli ultimi tempi. Io, comunque, rispetto ai miei colleghi allenatori della ginnastica mi ritengo fortunata».L’ingaggio da allenatore della Nazionale allora è soddisfacente?«Non scherziamo, ho un contratto che firmo annualmente. Sono un allenatore vero, ma a termine, come tutti. Di buono c’è che sto in federazione da ventisette anni e guido la Nazionale da diciotto».Una sola donna al comando.«Curo la parte tecnica, quindi dalla composizione degli esercizi alla scelta musicale, ma posso contare sul mio staff: l’insegnante di danza Gjerji Bodari, l’assistente tecnica Valentina Rovetta e l’altra assistente Giulia Galtarossa. Il nostro mestiere è creare cenerontole con il bel vestito, ma pur sempre cenerentole che devono sudare tanto per guadagnarsi l’unico oro possibile nel nostro mondo: la medaglia».Quanto si suda nella vostra vecchia “casa” alle porte di Milano, il PalaDesio?«A settembre il presidente del Coni Giovanni Malagò ha promesso che traslocheremo in un palazzetto tutto nostro, di fianco al PalaDesio. E anche lì le ragazze si alleneranno come sempre: otto ore sei giorni su sette, minimo per quattro anni di fila. Io arrivo anche a 10-12 ore di lavoro, perché dopo la palestra ci sono miriadi di attività parallele da seguire, dalle relazioni alla ricerca, anche degli sponsor».Vincendo tanto e spesso, di sponsor ne troverà molti?«L’unico “sponsor sicuro” è rappresentato dall’Aeronautica che alle ragazze garantisce uno stipendio finché sono in attività e la possibilità di fermarsi nel corpo a fine carriera. Per il resto, quando arriva qualcosa va diviso tra le “quattro famiglie” della ginnastica: noi della ritmica, l’artistica maschile e femminile e il trampolino elastico. Alla fine restano le briciole. Ma il nostro tesoro è il presidente della Federazione, il prof Riccardo Agabio: è lui che con la sua fede incrollabile e la profonda sensibilità ci dà la forza e la tranquillità per continuare a lavorare e migliorarci continuamente».Agabio il presidente buono, mentre di lei dicono che sia un “generale durissimo”?«Ero molto severa, adesso mi sto rabbonendo, anche se ogni tanto recupero “metodi” da tempi d’oro... È necessario, le ragazze hanno personalità sempre più forti, sono più sveglie e più furbe, quindi mai abbassare la guardia. Ho a che fare con squadre composte da dieci adolescenti (la più piccola Martina 16 anni, figlia dell’ex calciatore Felice Centofanti) e postadolescenti che sono ancora più difficili da gestire. Con tutte loro è uno stimolo e un arricchimento quotidiano, ma anche un prosciugamento di energie non indifferente».Come si riconosce una “farfalla azzurra”?«Dallo spirito di sacrificio e dall’amore incondizionato per la ginnastica. Dall’eleganza, che apprendono a cominciare dall’ora e mezza quotidiana di danza classica. Una “farfalla azzurra” è espressività fisica e volontà di vittoria prima nella testa e poi nel cuore».Il tempo a disposizione per una “farfalla” anche nella ritmica è però assai limitato.«Iniziano sempre più presto e l’apice lo raggiungono a 22 anni (la nostra capitana Marta Pagnini ne ha 23), da lì in poi comincia la discesa fisiologica. La nostra “individualista” Julieta Cantaluppi è arrivata ai Giochi di Londra a 27 anni, ma dopo quell’età è quasi impossibile reggere all’urto dell’inevitabile logorio fisico».Per tenersi su anche nella ginnastica si fa uso di doping?«Nella ritmica vige un antidoping severissimo. Magari in passato qualche russa ha assunto qualche sostanza, da noi mai registrato nessun caso di positività. E del resto questa è una disciplina che privilegia la tecnica e il doping non cambierebbe di una virgola l’esito di una prestazione».Ciò che è cambiato invece, è il nuovo codice internazionale dei punteggi.«Un cambiamento decisamente in peggio. Per rendere più oggettivo il giudizio delle giurie è stato mantenuto il coefficiente difficoltà e di esecuzione, mentre quello artistico, in cui l’Italia fa scuola, da trenta punti è sceso drasticamente. Risultato: esercizi più difficili, più “sporchi”, basta far cadere una clavetta per mandare all’aria il lavoro di anni».A proposito di anni, i prossimi due sono quelli che portano alle Olimpiadi di Rio 2016.«Prima, nel 2015 c’è lo scoglio del Mondiale a Stoccarda. Ci alleneremo con l’esercizio ai cinque nastri e nel misto con i due cerchi e sei clavette. A Rio avrò 50 anni e lo considero un momento di svolta anche personale. Il problema per tutti è arrivarci, il Cio per aumentare il numero delle squadre ha diminuito quello degli atleti in gara. Così, nella prova a cinque, il rischio è che se una ragazza si infortuna non c’è più la riserva».In Brasile a caccia della terza medaglia olimpica, quella che vi hanno strappato dal collo a Pechino 2008.«In Cina è stato il momento più triste e difficile, giù dal podio immeritatamente. Ma del resto spesso ci si imbatte in arbitri pazzeschi, altro che quelli del calcio... Nella ginnastica neppure la moviola in campo renderebbe immuni da certe sviste, non sempre involontarie».Pechino amara e da dimenticare. Quali sono state le gioie più intense condivise con le sue ragazze?«Il primo argento ad Atene 2004, è da quel momento che sono diventate le “farfalle”. Poi, la gara perfetta di Montpellier, terzo oro mondiale di fila e l’argento di Kiev dell’anno scorso che ci ha viste più forti del nuovo codice e del ricambio generazionale».La sua speranza per il futuro?«Che un domani qualcuna delle “farfalle” possa prendere il mio posto e che tenga sempre a mente: più ami la cosa che fai e più essa ti ripagherà».
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