lunedì 16 maggio 2016
Nel carcere di Bologna il concorso "Cinevasioni": i detenuti assegnato al film di Mainetti "Lo chiamavano Jeeg Robot" la Farfalla di ferro.
Cinema, un festival dietro le sbarre
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​Un festival del cinema dentro un penitenziario. Mancavano solo i lustrini e il tappeto rosso ma per il resto è stata una rassegna come quelle che si svolgono “fuori”, con proiezioni, spettatori, ospiti illustri, una madrina, incontri con gli autori e una giuria di “esperti” che ha assegnato il premio al miglior film tra gli undici in concorso, tutte produzioni “fresche” e di qualità, distribuite nelle sale italiane quest’anno. Si intitola “Cinevasioni” ed è il primo festival del genere in Italia, e forse al mondo: organizzato con il sostegno di Rai Cinema, si è svolto nella Casa circondariale di Dozza, a Bologna, dal 9 maggio fino a ieri, giornata in cui la commissione, composta da detenuti e presieduta dall’attore romagnolo Ivano Marescotti, ha attribuito la “Farfalla di ferro” a Lo chiamavano Jeeg Robot, l’immaginifico film di Gabriele Mainetti con Claudio Santamaria. Perché, dice la motivazione, «è un indubbio capolavoro di recitazione e di esposizione della fantasia, ed esprime con sapiente irriverenza i drammi, i sogni e il coacervo di passioni ed emozioni delle periferie metropolitane». Per la prima volta in un evento cinematografico dentro un carcere non si è parlato delle tematiche del settore e della condizione dei reclusi ma si è cercato di guardare alla Settima Arte come fanno quelli che non vivono “il sole a scacchi”, ovvero i critici o gli spettatori comuni, ascoltando le testimonianze di registi come Luchetti, Falcone e Garrone, sceneggiatori come Roberto Menotti, direttori della fotografia, montatori, autori di colonne sonore come Carlo Amato. Un braccio dell’istituto penale si è persino trasformato in set cinematografico: alcuni detenuti ci hanno girato il cortometraggio La sfida, realizzato come saggio finale del corso-laboratorio iniziato a ottobre su sceneggiatura, regia, recitazione al quale hanno partecipato per preparare il festival e imparare a fare i critici-giurati. Il documento filmato, della durata di tre minuti, è stata la sigla di “Cinevasioni 2016”, rassegna sul cui schermo sono passati in questi giorni documentari come Fuocoammare di Gianfranco Rosi, vincitore dell’Orso d’oro all’ultimo festival di Berlino, e film-fiaba come Il racconto dei racconti di Matteo Garrone (sette David di Donatello), ma anche la commedia brillante Se Dio vuole, opera prima di Edoardo Falcone, e il biografico Chiamatemi Francesco di Daniele Luchetti sulla vita di papa Bergoglio. Tra le opere in gara c’erano pure Zanetti Story, di Simone Scafidi e Carlo A. Sigon, sulla vicenda umana e sportiva del giocatore argentino ex capitano dell’Inter, e il pluripremiato Sponde. Nel sicuro sole del Nord, della giovane regista Irene Dionisio, storia dell’amicizia tra lo scultore e postino tunisino Mohsen e il becchino in pensione di Lampedusa, Vincenzo. Altri titoli proposti, Mia madre fa l’attrice di Mario Balsamo, Ravelstoke – Un bacio nel vento di Nicola Moruzzi, il documentario The lives of Mecca di Stefano Etter e Dio esiste e vive a Bruxelles di Jaco Van Dormael.Insomma, il grande cinema è entrato a pieno titolo nel carcere di Dozza (450 detenuti, 6 educatori, 414 poliziotti penitenziari), e non solo con le proiezioni (aperte anche al pubblico esterno) in una sala di 150 persone ma anche con protagonisti che hanno varcato il portone del penitenziario per presentare le opere in gara e rispondere alle domande degli spettatori. La Farfalla di ferro consegnata ieri al regista del film vincitore Gabriele Mainetti da Claudia Cardinale è una scultura disegnata dall’artista Mirko Finessi e costruita dall’officina metalmeccanica del carcere bolognese, dove ogni giorno lavorano, fianco a fianco, detenuti e un gruppo di volontari, operai metalmeccanici in pensione.Il corto-trailer di “Cinevasioni” (con musiche di Ennio Morricone dalla “trilogia del dollaro”) interpretato da una ventina di detenuti si ispira a tre capolavori, Il buono, il brutto, il cattivo di Sergio Leone, Apocalypse now di Francis Ford Coppola e Un americano a Roma di Steno, che hanno come tema simbolo proprio la sfida: quella quotidiana all’ultima forchetta, sulla qualità dei pasti che vengono distribuiti dalla mensa del carcere (uno dei più sovraffollati d’Italia), e quella con la propria esistenza, adesso dietro le sbarre per scontare una pena e in un futuro più o meno lontano di nuovo nella società civile, alle prese con gli stimoli e i problemi del mondo esterno. «Ma il festival è stata anche una doppia sfida diretta tra carcere e mondo del cinema – precisa il direttore artistico e ideatore del festival, il giornalista Rai Filippo Vendemmiati – e ha visto una partecipazione entusiastica dei detenuti, italiani e stranieri, che si sono informati, hanno studiato, imparato a giudicare i film e a valutare le loro emozioni di fronte a una storia». “Evadere”, dunque, si può: «Tutti i film degli ultimi anni per noi sono inediti – ha dichiarato uno dei partecipanti al corso-laboratorio di cinema tenuto dall’associazione dei documentaristi dell’Emilia-Romagna – ma non capiamo perché, in carcere, così come si può leggere un libro in biblioteca non si possa vedere un film appena uscito nella sua sede naturale, cioè la sala cinematografica».«Quello che abbiamo insegnato nel corso – afferma Angelita Fiore, direttrice scientifica di “Cinevasioni” – è soprattutto guardare la realtà con altri occhi e con una consapevolezza diversa, anche se da dietro le sbarre quello che c’è fuori può essere solo pensato, oppure visto attraverso i film. Un po’ come avviene quando s’immagina una storia: ed è proprio questo, forse, è il punto di forza del nostro festival». «L’attività del progetto CiakinCarcere, che si aggiunge a quelle sportive e musicali, fa parte di un preciso percorso formativo – spiega la direttrice del carcere di Dozza, Claudia Clementi – destinato ad incidere sulla vita delle persone sia dentro che fuori dal penitenziario ed è anche un modo efficace per mettere in contatto il carcere con la città: l’obiettivo è quello aiutare i detenuti a coltivare un sogno, facendo vedere cose mai viste: il cinema può rappresentare, infatti, per loro una ulteriore possibilità di vita diversa, di un’esistenza migliore».

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