martedì 24 aprile 2012
​Non è escluso che nelle prossime ore possano scattare provvedimenti più duri verso i tifosi che si difendono: «In noi c’era delusione più che rabbia». E intanto la squadra ha il suo quarto allenatore.
Avanzi di Curva di Massimiliano Castellani
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​All'l’indomani del “G8 del pallone”, Genova riscopre antichi fantasmi e concrete paure. La questura esamina filmati e foto della dimostrazione di forza degli ultrà genoani, che domenica hanno imposto la svestizione delle maglie agli spauriti giocatori, travolti in campo dal Siena: compiute le identificazioni, sono già scattati i primi 11 Daspo (Divieto di accedere alle manifestazioni sportive). La Digos ipotizza inoltre i reati di danneggiamento (divelto il cancello che separa gradinata Nord e distinti), lancio di oggetti pericolosi (petardi e fumogeni), violenza (uno steward è stato medicato) e interruzione di manifestazioni sportive. Non si esclude che arresti possano essere imminenti.Sullo sfondo degli accertamenti in corso, il rinvio reciproco di responsabilità tra il Genoa e la questura, sulla gestione dei tre quarti d’ora intercorsi tra la sospensione e la ripresa del gioco. Se Preziosi, a caldo, aveva giudicato inadeguato l’impegno delle forze dell’ordine in relazione alla gravità dei fatti, il questore Massimo Maria Mazza ribatte: «La sicurezza interna negli stadi è competenza della società e non delle forze dell’ordine. Se ne occupano gli steward». Il responsabile dell’ordine pubblico a Genova ribadisce anche la sua versione sulla dinamica dei fatti: «Ho chiesto che non si assecondasse la richiesta ricattatoria del levarsi la maglia, perché avevamo abbastanza uomini per poter garantire l’incolumità dei giocatori». La procura federale della Figc ha intanto aperto un’inchiesta sui giocatori e i dirigenti del Genoa. I disordini di domenica hanno comunque lasciato segni profondi nell’anima della città, che vive una grave crisi socioeconomica e che anche nello sport attraversa il momento più difficile da una decina d’anni a questa parte. Sotto la Lanterna il calcio è una passione civile, testimoniata da 39mila abbonati – 21mila i genoani, 18mila quelli della Sampdoria – su una popolazione attorno al mezzo milione di persone, peraltro in costante decremento. Ma l’umiliazione imposta dagli ultrà ai calciatori rossoblù ha radici che affondano nella cultura della Curva, con codici e rituali propri: «Noi – spiega Fabrizio Fileni, uno dei capi della protesta – non abbiamo obbligato i giocatori a togliersi la maglia. Glielo abbiamo chiesto perché la stavano disonorando. Domenica in noi – prosegue – c’è stato l’apice della delusione, più che la rabbia. Ma sopra ogni altra cosa la paura di finire in B come la Samp. Che cosa ci ha detto Sculli? Ci ha rassicurato e spiegato che la partita doveva andare avanti. È stato così e non è successo niente, non c’è stata violenza e abbiamo fatto in modo che niente succedesse».Non è successo niente. La tesi che circola tra i tifosi “duri e puri” trova però smentita sia nell’attività investigativa delle forze dell’ordine, sia nel verdetto del giudice sportivo, che ha punito il Genoa con due gare da disputarsi a porte chiuse, con la mortificante premessa: «La situazione venutasi a creare a Genova non ha precedenti nella ultrasecolare storia del calcio italiano». Duro anche il commento del presidente del Coni Gianni Petrucci: «Siamo a un punto di non ritorno. Domenica è stata scritta una pagina nera nel mondo del calcio». E pensare che la prima nobile pagina di storia del nostro calcio era nata proprio sotto la Lanterna, alla fine dell’Ottocento (il Genoa è stato fondato nel 1893), e che domenica scorsa potrebbe aver compiuto un passo verso un epilogo dei più tristi. La squadra rossoblù, ancora in cerca di salvezza, ha cambiato per la quarta volta allenatore (da Malesani a Marino fino al Malesani bis, ora tocca a De Canio) e si allena in esilio, sotto scorta, a Milano, in un centro sportivo messo a disposizione dall’Inter. Domani sera quel che resta del Genoa rende visita al Milan: ma il cuore dei tifosi veri è altrove, forse in nessun posto.
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