domenica 30 giugno 2019
In questi giorni in Italia per presentare il suo ultimo libro lo scrittore scozzese parla di Cechov e della passione per i sentimenti, la cultura e la musica che fanno degli europei un solo popolo
Boyd: «Scrivo d'amore ma... penso all'Europa»
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Milano «Non importa quanto si pensi di conoscere qualcuno: si vede ciò che si vuole vedere, o quello che l’altra persona vuole far vedere»: da questa considerazione nasce il titolo del nuovo romanzo di William Boyd, L’amore è cieco (Neri Pozza, pagine 442, euro 18), storia di un’ossessione amorosa, come ribadisce il sottotitolo: “La passione di Brodie Moncur”. «Il termine nell’originale inglese è rapture – precisa l’autore – che è più vicino all’estasi, una parola che ho preso da Robert Louis Stevenson, grande ispiratore del mio romanzo, che infatti si apre e si chiude nelle sperdute isole Nicobare e Andamane: come lo scozzese Stevenson visse e morì prematuramente a Samoa, così ho fatto concludere l’avventurosa vita dello scozzese Brodie in una cornice esotica che gli permette di riconsiderare il suo passato da un punto di vista etnologico, creando un voluto senso di destabilizzazione, come appunto fece Stevenson». Nato nel 1952 in Ghana ma di origine scozzese, William Boyd è tra i più popolari narratori britannici, premiato per romanzi come Brazzaville Beach e The blue afternoon, tradotto con successo anche da noi con titoli come 'Ogni cuore umano' e 'Una dolce carezza'. Con L’amore è cieco conferma la sua fama di scrittore romantico, perché il protagonista Brodie, nell’arco di tempo che va dal 1896 al 1906, attraversa l’Europa per inseguire l’oggetto del suo amore, una cantante russa. Brodie, di professione accordatore di pianoforti, ingaggia, per la ditta per cui lavora, un famoso pianista a scopo pubblicitario, e si trova a seguirlo nei suoi concerti, innamorandosi perdutamente della fidanzata di lui, Lika, che lo incoraggia ma nello stesso tempo lo sfugge, rendendosi così indimenticabile. «Sì, questo libro si può definire "romantico" – commenta Boyd – perché è dedicato a un’indagine sull’ossessione amorosa, ma non mi definirei uno scrittore romantico, semmai unisco il tono comico con quello serio, perché in ogni libro analizzo diverse componenti della condizione umana, nella quale i sentimenti hanno inevitabilmente gran parte. Ma il punto di partenza di questo romanzo non è stato l’amore, bensì un’indagine musicologica sull’impatto emotivo di certi passaggi armonici. Io ascolto tantissima musica, di tutti i generi, e ho osservato che certi brani suscitano dei veri e propri scoppi emozionali. Fare di Brodie un musicista mi ha permesso di sviluppare questo aspetto, infatti si parla di un semplice motivo tradizionale che suscita nel pubblico un effetto dirompente, anche se poi il te- ma dominante è il pellegrinaggio avventuroso di Brodie nelle città d’Europa sulle tracce dell’affascinante Lika».

Edimburgo, Parigi, Nizza, San Pietroburgo, Vienna, Ginevra, Trieste: le città più affascinanti d’Europa durante la belle Epoque, un periodo storico che ricorre più volte nei suoi romanzi e di cui lei evoca con ammirazione lo Zeit geist, lo spirito dei tempi. Come mai questa predilezione?

Sono un uomo del ’900, amo il mio secolo e fin da quando ero bambino, attraverso i racconti di mia nonna che era vissuta sotto la regina Vittoria, ho percepito gli inizi del secolo non tanto come un periodo storico, ma come un’area di libertà esplorativa, uno spazio da ricreare. E, a parte le innovazioni teconologiche, trovo che la natura umana non sia cambiata da allora, il gioco dei sentimenti rimane lo stesso.

Nel romanzo possiamo vedere un omaggio alla Russia, allora parte integrante della cultura europea. Lo suggerisce non solo la scelta della protagonista femminile Lika, ma anche un anonimo cameo: il medico russo ammalato di tisi che Brodie incontra a Nizza assomiglia molto ad Anton Cechov.

Lo confermo: è lui. Cechov è stato la mia porta d’accesso alla cultura russa, che mi appassiona e che trovo abbia punti in comune con quella scozzese delle mie origini. Cecov è l’altro nume del mio romanzo, che potrei definire un’avventura stevensoniana attraverso lenti cecoviane. La cultura russa d’inizio ’900 era fortemente europea, poi gli sconvolgimenti nell’assetto geopolitico l’hanno trasformata, ma penso che a livello intellettuale questi legami esistano ancora: ad esempio, in questi giorni a San Pietroburgo rappresentano a teatro una mia opera.

È di pochi giorni fa la tappa milanese del Tour dell’amicizia promosso dai quattro notissimi scrittori inglesi Lee Child, Ken Follett, Kate Mosse e Jojo Moyes che hanno voluto ribadire il loro dissenso dalla Brexit e la loro convinta adesione alla cultura europea. Questo suo romanzo profondamente europeo può essere interpretato come una presa di posizione culturale anti Brexit?

A livello inconscio senz’altro, perché, anche se non avevo intenzioni dichiaratamente polemiche, il viaggio di Brodie è un manifesto di cultura europea, che rispecchia la mia formazione personale. Io ho ideato le tappe del viaggio di Brodie non con intento dimostrativo, ma per fargli visitare le città che più amo e che conosco meglio, però sono contento che possa essere interpretato come una sorta di manifesto europeista, trovo assurdo negare le radici culturali che tutti condividiamo.

Qualche anticipazione sul suo intervento di stasera alla Milanesiana, sul tema 'Speranza e redenzioni'?

Il tema della speranza offre molti spunti a chi cerca di riflettere sul senso della breve avventura che viviamo su questo piccolo pianeta. Penso che la speranza sia qualcosa che riunisce, che possiamo condividere tutti, perché ognuno di noi ha nel cuore una speranza.

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