martedì 5 maggio 2020
L’attore, su Rai 2 nelle repliche de “La compagnia del Cigno": «Vivo sospeso tra l’esperienza di neo papà e i lutti nella mia Bergamo»
L'attore Alessio Boni

L'attore Alessio Boni - Gianmarco Chieregato

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«Mi sono arrivate due cose molto potenti in questo periodo, la paternità, che è una cosa che ti cambia completamente, e il coronavirus, che ci ha obbligato a fermarci e a renderci più coscienti di noi stessi per poter ripartire ancora più ricchi di prima». Alessio Boni, 53 anni, uno dei volti più popolari del teatro e della fiction italiane, ha affrontato questi due mesi di chiusura in una altalena di emozioni. Da una parte la gioia per la nascita, in piena emergenza Covid–19, del suo primo figlio Lorenzo, avuto dalla compagna Nina. Dall’altra il dolore per i lutti subiti tra familiari e amici della sua Bergamo. E poi, ancora, set e spettacoli cancellati. Ma lui, da buon bergamasco, non molla ed è diventato uno dei propugnatori della petizione “L’arte è vita”, sulla piattaforma Change.Org, insieme ai colleghi di tutte le arti, per dare voce anche ai precari dello spettacolo. Istanze che ha presentato giovedì scorso alla chat con gli artisti voluta del ministro Franceschini. Intanto lo vediamo, il mercoledì su Rai 2, nel ruolo del burbero direttore d’orchestra nelle repliche della fiction La compagnia del Cigno, firmata da Ivan Cotroneo, che racconta le vicende di sette studenti del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Ragazzi che ora, a set bloccato, danno lezioni di musica online su Rai Play negli episodi de La musica della compagnia.

Alessio Boni, come ha passato queste lunghe settimane di chiusura?

E’ stato tutto inaspettato. Domenica 23 Febbraio stavo andando a Pavia per la pomeridiana del Don Chisciotte che avrei poi dovuto portare in tournéee, quando mi hanno chiamato dal teatro per fermarmi. Eppure la sera prima avevamo fatto il pienone, abbracci e foto con i fan. Inoltre avevo appena iniziato a girare la seconda serie de La compagnia del cigno a Milano, e si è bloccato tutto. Ho cominciato a sistemare le cose in attesa di Lorenzo.

Una luce arrivata in un momento di buio?

Io vivo una dicotomia profonda. Una situazione idilliaca a casa, con la mia compagna e il mio piccolo: mai nessuno, neanche l’uomo più ricco del mondo, può avere il privilegio di vivere 24 ore su 24 con il proprio bambino. In questi 40 giorni di vita ho imparato anche a riconoscere le variazioni del pianto durante la crescita, un’esperienza straordinaria. E fuori, l’inferno. I miei genitori che sono nella bergamasca stanno bene, ma ho perso zia Laura, che aveva solo 66 anni ed era una potenza. Il virus se l’è portata via e i miei cugini sono devastati. Ho amici medici che mi raccontano la situazione, c’ è ancora gente che muore, la situazione è pesante.

Lei, comunque, è un fautore della ripartenza del settore dello spettacolo.

Certamente, anche se vaghiamo nell’incertezza. Mi è appena arrivato il ciclostile con le norme ministeriali per il lavoro sul set: sono impossibili da praticare. Se gli attori devono stare a due metri di distanza e non possono esserci assembramenti, occorre cambiare le sceneggiature: come si può fare con le scene di abbracci, baci, conflitti? Personalmente parlando, mi sono saltati 9 mesi di lavoro: 5 mesi di riprese della serie e 4 mesi di tournée del Don Chisciotte, di cui sono regista insieme a Roberto Aldorasi e Marcello Prayer.

Ne ha parlato con il ministro Franceschini ?

A tutti quanti ha fatto molto piacere che il ministro abbia consultato una ventina di artisti (fra cui Paolo Fresu Roberto Bolle, Nicola Piovani, Stefano Accorsi, Vittoria Puccini, Daniele Gatti, Stefano Massini, Emma Dante) per comprendere le problematiche dei vari settori, specialmente dei lavoratori meno fortunati. La cosa positiva è che sta cercando di risistemare una situazione che da anni era èpaludosa. Ha capito che nel nostro settore, che conta 600mila lavoratori, non c’è uno statuto o un sindacato comune. Daniele Rossi Alessandro Quarta, Mario Bunello ed io abbiamo voluto lanciare la petizione “L’arte è vita” per tutelare anche i tanti lavoratori dello spettacolo che non hanno neanche il contratto o che sono sottopagati.

Cosa ne pensa del in streaming, finchè le sale restano chiuse?

Secondo me lo spettacolo deve essere dal vivo, ovviamente seguendo le norme di sicurezza, e basta. Ci sono decine di teatrini meravigliosi, da 300 posti circa, che sono l’ossatura dell’Italia, ma non hanno diritto al Fondo dello Spettacolo e non avendo sovvenzioni, ora crollano. Si po- trebbe vendere un numero limitato di biglietti in platea e i biglietti restanti, relativi alla capienza del teatro, essere venduti per una visione online. Comunque, lo streaming, per farlo bene, costa: occorrono almeno 8 telecamere sul palco, un impianto di acustica perfetto, una consolle di regia, un regista. Solo per partire occorrerebbo 200mila euro di investimento diffiicli da ammortizzare.

E quindi?

Concordo con la proposta fatta al ministro da Monica Guerritore: perché non tornare ai venerdì del teatro in Rai? Gli operatori e gli studi la Rai li ha, servirebbero 6 o 7 giorni di riprese per confezionare un buon prodotto studiato e sceneggiato apposta per la tv. Io un teatro in tv così lo farei.

Questi giorni di chiusura ci hanno insegnato qualcosa?

Che la nostra libertà è un valore enorme. Noi prima la facevamo facile, avevamo tutto, ci lamentavamo per sciocchezze, correvamo forsennatamente. Ma penso ora ai tanti che debbono ripartire e che forse non ce la faranno, come tanti piccoli industriali che conosco, con 14 o 15 operai, che stanno già pensando al peggio oppure artigiani massacrati. Se lo lasci dire da uno che per anni ha lavorato come piastrellista nella piccola azienda di suo padre…Lo Stato deve fare qualcosa.

Lei, comunque, in questi giorni ha fatto il suo, come artista, recitando ogni giorno per 40 giorni, brevi poesie sui social.

Ho voluto chiudere il ciclo domenica con La Felicitàdi Alda Merini: non c’è bisogno di tenere compagnia ora. È l’ora di ripartire dalla speranza. La poesia simboleggia questo periodo di pandemia, dove c’è stato un ritorno all’uomo, alla comprensione profonda di se stesso. Un po’ come l’anno sabbatico degli ebrei, una ricerca umana nello stallo. Di colpo in questa emergenza scopriamo una riserva segreta di fiducia negli altri: non è mai troppo tardi per ricostruire la fiducia. L’aiutarsi a vicenda è insito nell’uomo.

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