sabato 25 novembre 2017
L’analisi cruda e realista del filosofo russo sulle contraddizioni della Rivoluzione d’Ottobre in un saggio scritto nel 1920, ma pubblicato in Italia ora per la prima volta
Vladimir Ilyich Lenin (1870 - 1924) in una delle tante adunate popolari nella Mosca del secolo scorso

Vladimir Ilyich Lenin (1870 - 1924) in una delle tante adunate popolari nella Mosca del secolo scorso

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Nel settembre del 1920 il "Mercure de France" pubblica un saggio sulla natura del bolscevismo firmato dal filosofo russo Lev Šestov (1866-1938), considerato uno dei maggiori pensatori del Novecento. Le conclusioni sono sorprendenti: il movimento che ha portato alla Rivoluzione russa, viene giudicato idealista, brutale, parassitario e, soprattutto, reazionario, nel senso di contrario al socialismo e al concetto di rivoluzione marxista. Quel saggio è stato adesso pubblicato per la prima volta in Italia, e per la prima volta nel mondo viene riproposto in versione integrale, con un’ampia introduzione di Dario Borso: Che cos’è il bolscevismo (La Scuola, pagine 160, euro 12), del quale pubblichiamo un estratto.

Vorrei chiarire quello che, a mio avviso, è l’aspetto più caratteristico del bolscevismo nella sua essenza. Il bolscevismo è, lo ripeto, reazionario; esso è impotente a creare; prende ciò che trova sottomano, ciò che altri hanno fatto senza di lui. In breve: i bolscevichi sono in sé e per sé dei parassiti. Ovviamente, non se ne rendono conto e non lo capiscono. Se pure capissero, è improbabile che sarebbero disposti ad ammetterlo apertamente. Ma in tutti i campi dove hanno esercitato la loro attività, si è resa manifesta la loro caratteristica essenziale. Essi stessi formulano il loro compito dicendo che bisogna prima distruggere tutto, e iniziare a creare solo dopo avere distrutto. Se per un attimo gli ideologi bolscevichi dagli occhi cerulei fossero capaci di pesare le loro parole, ne sarebbero impauriti. Non parlo nemmeno del fatto che una formula simile è in netta contraddizione con l’insegnamento fondamentale del socialismo. Va da sé che Marx non riconoscerebbe negli uomini che hanno formulato un programma simile i suoi discepoli e seguaci.

Marx riteneva che il socialismo fosse una forma superiore di organizzazione economica della società derivante dall’organizzazione borghese in base alla medesima ferrea necessità per cui l’economia borghese è subentrata a quella feudale… E il socialismo non solo non presupponeva la distruzione dell’organizzazione economica borghese, ma anzi contava di conservarla appieno e di mantenere intatto tutto quanto era stato creato dal regime precedente. Il compito del socialismo appariva di conseguenza a Marx come un compito costruttivo. Trasformare l’organizzazione borghese in un’organizzazione socialista significava passare a un’organizzazione superiore e migliore di produzione, significava non distruggere, ma aumentare le forze produttive del Paese; era insomma un compito positivo.

A questo compito i bolscevichi hanno rinunciato subito, perché evidentemente avevano la sensazione che creare non fosse affar loro. È assai più semplice, più agevole e meno faticoso vivere a spese di quanto è stato fatto prima. E in effetti i bolscevichi non distruggono nulla alla fin fine. Essi vivono semplicemente con quanto hanno trovato pronto nel vecchio organismo economico. Quando qualcuno rimproverò a Lenin che i bolscevichi si dessero al saccheggio, lui rispose: «Sì, saccheggiamo, ma saccheggiamo ciò che è frutto di un saccheggio precedente».

Ammettiamo che sia così, ammettiamo che davvero i bolscevichi riprendano solo ciò che è stato preso con la forza prima di loro, ma questo non cambia in nulla la questione. I bolscevichi rimangono dei parassiti, ché, nulla aggiungendo a ciò che è stato creato prima, si nutrono dei succhi dell’organismo cui si sono attaccati. Quanto a lungo si possa vivere così, quanto a lungo possa la Russia nutrire i bolscevichi, non saprei dirlo. Forse il grado di pazienza e la capacità di sottomissione della nostra patria smentiranno tutti i nostri calcoli. Che cosa non ha sopportato la Russia? Quali parassiti non si sono nutriti dei suoi succhi? Non starò a rievocare un passato lontano, il giogo tartaro, e nemmeno il XVIII secolo, i regni di Anna Ivanovna e di Elisabetta Petrovna. Ma lo stesso XIX secolo è stato, sotto questo aspetto, orribile. La burocrazia russa, disponendo senza controlli della Russia e del popolo russo intero, partiva sempre dal presupposto per cui i funzionari devono comandare e la popolazione obbedire.

A proposito di Nicola I, si narra che durante l’assedio di Sebastopoli, a uno dei suoi ministri che gli consigliava di pubblicare nei giornali indicazioni più dettagliate sull’andamento della guerra, poiché i pietroburghesi erano preoccupati e inquieti, lui rispose: «Inquieti! Ma cosa gliene importa a loro?». Nicola I era tra i suoi funzionari primus inter pares. Ogni funzionario era convinto che la popolazione, gli abitanti – la parola «cittadino» la Russia non l’ha mai amata né ammessa – fossero meri oggetti di cui disporre. La popolazione doveva essere felice di avere padroni in cui s’incarnava il padrone supremo, lo zar.

Gli stranieri faticano senz’altro a immaginare un tale stato di cose. Ma finché non l’avranno compreso, non comprenderanno nulla del bolscevismo. La burocrazia russa è sempre stata parassitaria. Per di più, non solo i ceti dirigenti, ma tutta l’alta società russa conduceva, in maggiore o minor grado, un’esistenza da parassiti. Il conte Tolstoj nelle sue opere postume racconta che, venutagli da giovane l’idea di acquisire una nuova proprietà, aveva cercato di comperarla in una regione abitata da contadini che non possedevano terra. «In tal modo» dice il conte Tolstoj, «avrei potuto procurarmi gratis i lavoranti di cui avevo bisogno». Il parassitismo era una caratteristica degli strati alti della società pre-rivoluzionaria, ma i nuovi nobili, ossia quanti si sono aggrappati al governo attuale, hanno superato di molto quelli vecchi, sicché pure in questo senso il bolscevismo non è originale. I bolscevichi hanno fatto tutto il possibile per ostacolare la rivoluzione nel suo compito fondamentale: l’emancipazione del popolo russo.

È ormai evidente che, in fondo, nemmeno l’opera di distruzione è riuscita loro. Hanno distrutto granparte dei beni nazionali, hanno ucciso nelle carceri e nei comandi della Commissione Straordinaria un gran numero di vecchi ministri, di governatori e di ricchi. Non mi soffermerò, tutti sanno come lavorano i comandi lettoni della Commissione Straordinaria e i soldati cinesi. Ma non hanno distrutto né la burocrazia, né la borghesia. Quale distruzione?! Mai in Russia la burocrazia – e che burocrazia truffaldina, oziosa, penosa – aveva proliferato con tale inaudita rapidità. In ogni ente ci sono dieci volte più impiegati di quanto occorra. E su dieci enti se ne trova a malapena uno che serva a qualcosa.

Tutti lavorano per lo Stato, uomini e donne, giovani e vecchi. I bolscevichi sono convinti che chiunque non lavori sia dannoso e pericoloso per lo Stato, e perseguitano in tutti i modi quanti non sono al suo servizio. Li si subissa di imposte, li si priva delle tessere annonarie, li si mobilita per l’armata ecc. E allora si va a lavorare per lo Stato, tanto più che la gente istruita è totalmente priva di ogni mezzo di sostegno, all’infuori del trattamento d’impiegato. Un manovale, o in genere un uomo robusto e in buona salute, può ancora andare in campagna, dove magari trova lavoro, e col lavoro un tetto e un pezzo di pane. Un uomo istruito – un insegnante, un medico, un ingegnere, uno scrittore, uno studioso – è condannato a morire di fame se non accetta di aumentare in prima persona le orde già smisurate dei funzionari parassiti.

Ma almeno la borghesia, mi si dirà, è annientata. Neanche per sogno! Sono i borghesi di una volta a essere stati annientati. I fabbricanti, i negozianti e i loro collaboratori principali sono morti per la maggior parte, o sono fuggiti. Ma la borghesia in Russia è più forte e più numerosa, molto più numerosa di prima. Attualmente quasi tutti i contadini in Russia sono borghesi. Conservano nascosti sottoterra centinaia di migliaia e addirittura milioni di rubli emessi sotto lo zar, sotto Kerenskij, sotto i soviet, nella repubblica del Don e in Ucraina, e altre valute ancora. E non riuscirete a strappargli le loro ricchezze. Come se non bastasse, la nuova borghesia non ha più nessuna di quelle tradizioni che in una certa misura frenavano gli appetiti della vecchia borghesia. Non lo nego: la Russia è sempre stata il Paese dell’arbitrio par eccellenza.


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