giovedì 19 maggio 2016
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CREMONA Sino ai primi di giugno è allestita al Museo del violino di Cremona l’articolata mostra – sculture, installazioni, formelle di materie pigmentate – di Gabriella Benedini, presente così nella città dove è nata (1932). La mostra si intitola “Concerto per Sofonisba”, ossia la celebrata pittrice Anguissola (Cremona 1532-Palermo 1625) che apre nella storia dell’arte l’autonomia artistica femminile. La Benedini imbastisce con la remota concittadina un rapporto che si fonda sulla vicenda di un’attitudine artistica di genere e sulla convinzione che si possa mettere in scena un confronto generazionale. Sofonisba e le sorelle, con altre cremonesi come Partenia Gallerati (1526-1571), stanno al centro della adesione femminile alle arti liberali nel pieno Rinascimento di Cremona, città in Lombardia seconda allora solo a Milano. Così come un gruppo di donne intellettuali e artiste, tutte cremonesi – da Mina Gregori a Elda Fezzi, da Federica Galli alla Benedini – si confrontano nel secolo scorso con i mutamenti sociali e culturali della loro città, la “capitale contadina” precipitata nella crisi agricola della valle padana. Quella della Benedini è un’arte “della crisi”. Passata a Milano, si misura da prima con il realismo esistenziale, poi passa a indagare la materia. Nella mostra cremonese siamo alla maturità di una artista che per decenni ha lavorato alle modificazioni e metamorfosi delle materie primigenie – terre laviche e golenali, polveri colorate, sabbie, silici, cristalli – mettendo in rapporto con la materia oggetti usati e scartati, objets trouvés che, perduta la prima identità, ritornano a una nuova funzione. Sono – così nella mostra – ferri lavorati e recuperati in discarica, corde, legni, oggetti desueti. La mostra si apre con una serie di metronomi, strumenti di misurazione del tempo musicale e strumenti musicali, poi pentagrammi dipinti o in collage, ascisse e ordinate inserite su materie informi. È il Concerto per Sofonisba, si apre su un “tempo cacofonico” con i metronomi contrapposti e autonomi l’uno dall’altro, si trasforma in musica silente di sfere celesti ottenute, spazi di infinito, infiniti mondi che – da Copernico e da Bruno – governano scienza, immaginario, pensiero e ricerca artistica. Altro spazio della mostra è la gigantesca installazione di un centinaio di leggii che reggono su due pagine gli “spartiti per un concerto”. Questa la parte di più immediato godimento della epifania cremonese dell’artista, con grandi abilità nell’accostamento di materie, nel collage, nelle modificazioni di fucina. L’uso delle paste materiche qui e le cadenze di immagini dichiarano apertamente l’origine dallo spazialismo e dal primo Lucio Fontana – materie quali polveri di galassia, residui vulcanici, pietre laviche – con qualche debito formale verso Osvaldo Licini. Chiude la mostra un ciclo di grandi prore – vele o grandi arpe che si gonfiano come vele – sculture in vetroresina con ancoraggi di ferro e piombo. Sono opere che da una parte nascono dal laboratorio più consueto di questa artista – prore e fondi piatti di barche sul fiume Po, resti e tracce di piccoli naufragi al recupero lungo le coste liguri – dall’altra ambiscono a regioni dell’es, là, nei luoghi della psiche dove nascono le ragioni dei grandi miti, il racconto omerico di Ulisse, le acque della maternità del mondo, il viaggio. © RIPRODUZIONE RISERVATA Benedini, “Metronomo”
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