Il vitello d'oro che ha sostituito la statua della Madonna nell'"Attila" di Verdi in scena al Teatro alla Scala
Possiamo solo immaginare l’Attila di Giuseppe Verdi che venerdì ha aperto la stagione al Teatro alla Scala di Milano con la scena “tagliata” della statua della Madonna. Non c’era perché qualcuno l’aveva ritenuta blasfema senza averla vista. E i vertici del Piermarini hanno preferito accogliere le proteste e modificare la sequenza d’intesa con il regista Davide Livermore, fischiato (a torto) dal loggione per la sua lettura contemporanea dell’opera che lui ambienta nell’Italia del dopo 8 settembre, fra rovine della guerra e occupanti nazisti (Attila con i Druidi). Quello che si sa è che la statua della Vergine è stata sostituita da un vitello d’oro. E, assistendo alla prima scaligera, si comprende dov’era inserito quel passaggio che è stato considerato “empio” e che invece sacrilego non sarebbe stato se al posto dell’idolo narrato nella Bibbia ci fosse stato un simulacro della Madonna. È vero, il vitello d’oro finisce a terra, ma non in frantumi. E analoga sorte sarebbe toccata alla statua mariana. Ma con un intento tutt’altro che profanatore. Ecco perché alla Scala è forse mancato il coraggio di scongiurare la cancellazione e a chi l’ha proposta la nobiltà di evitare grida mediatiche “a prescindere”.
Il quadro incriminato è il secondo del secondo atto. Il campo del “flagello di Dio” dove si tiene la festa con la «canzone gioconda » diventa – nell’interpretazione di Livermore – una sorta di baccanale davanti a una chiesa saccheggiata dalle truppe. Una bolgia dominata dal nero e dal rosso, specchio di una società corrotta e morente, segnata dal sangue e dalla sete di vendetta. In un angolo ecco che compare il vitello d’oro portato dalle «sacre figlie» degli Unni. E se ci fosse stata la scultura bianchissima della Vergine? Avrebbe trasmesso un messaggio cristallino: in un “inferno” prigioniero del peccato svetta la purezza, l’Immacolata (tra l’altro alla vigilia della solennità dell'8 dicembre).
Secondo il libretto di Temistocle Solera, la festa è scossa da un sinistro soffio di vento che causa lo spavento generale. Livermore lo rende oscurando completamente la scena, facendo crollare un lampadario, imponendo a tutti coloro che occupano il palco (una cinquantina fra i protagonisti, il coro e le comparse) di finire a terra. Un terremoto durante il quale il vitello “biblico” piomba sul pavimento. La Madonna avrebbe fatto la stessa fine. Scelta discutibile. Ma se c’è una sorta di sisma – magari in una chiesa – possono cadere anche le immagini sacre. Però quando la musica riprende, il primo fascio di luce che torna a squarciare il buio punta verso la statua rotolata. Se la Vergine fosse stata lì, illuminata fra le macerie umane di un mondo guasto e chiuso nelle tenebre, sarebbe apparsa come luce di speranza, l’unica in grado di indicare una via di redenzione fra le malvagità dell’uomo.
Livermore non costella, certo, il dramma verdiano di attacchi alla fede. Al contrario, arricchisce i rimandi religiosi. Ad esempio, un prete abbraccia un ragazzino fra gli spari (come nel film Roma città aperta); un eremita costruisce una croce con pochi rami in una chiesa bombardata (stando al libretto saremmo ad Aquileia); poi c’è il suggestivo incontro con (papa) Leone; o l’affidamento alla Madonna ai cui piedi vengono accese numerose candele. Chissà se quella statua sarebbe stata la stessa destinata a comparire dove non la vedremo mai.