sabato 6 febbraio 2010
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«Se un giorno le api dovessero scomparire, all’umanità resterebbero soltanto quattro anni di vita». Non è la profezia di un astrologo dilettante ma la previsione formulata molti anni fa da uno scienziato premio Nobel, il fisico Albert Einstein, che aveva compreso prima di altri l’importanza degli operosi insetti a strisce gialle e nere nel mantenimento dell’ecosistema del pianeta. La morte di milioni e milioni di api – un mistero planetario – è cominciata nel 2006 e, pian piano, ha iniziato a parlarne tutta la stampa internazionale: dal New York Times, il quotidiano americano, al francese Le Monde, dal tedesco Der Spiegel alla rivista scientifica Nature. Quali sarebbero i rischi di un mondo senza api? Tanti e tutti rilevanti: non solo verrebbero a mancare gli alimenti nutrienti e le sostanze che esse producono negli alveari – il miele, la propoli, la cera – ma soprattutto s’interromperebbe il meccanismo dell’impollinazione, cioè quel trasporto di polline che le api compiono posandosi di fiore in fiore, che favorisce la riproduzione di moltissime specie di piante, compresi frutta e ortaggi. Dunque, proteggere le api dall’estinzione significa proteggere il nostro futuro. Se n’è accorta anche l’Italia, anch’essa contagiata dalla moria di api. E così il ministero delle politiche agricole nel 2009 ha imposto la sospensione dei trattamenti dei semi di mais e soia con alcune sostanze pesticide dette neonicotinoidi che, secondo il presidente dell’Unione nazionale apicoltori, Francesco Panella, sono fra i principali killer delle api. E i primi dati di una serie di controlli effettuati dalla Regione Toscana sembrano indicare che la strada è giusta: «Il tasso di mortalità, che nel 2008 era del 50 per cento, è sceso rapidamente all’8 per cento, percentuale che si può considerare nella norma», conclude Panella, felice di annunciare che grazie allo stop delle sostanze-killer, le api sono tornate a ronzare nei prati del nostro Paese. Sentinelle nella rete. Cosa sta uccidendo le api? C’è chi ipotizza che non siano solamente le sostanze chimiche usate in agricoltura, ma anche altre cause, come il global warming, cioè il riscaldamento globale del pianeta. Secondo altri scienziati sarebbero invece le onde elettromagnetiche attivate dai sistemi di telefonia cellulare a creare scompiglio nel sistema d’orientamento delle api, rendendole incapaci di tornare al proprio alveare. Sullo stato di salute delle api vigila Apenet, la rete di controlli allestita per avere informazioni costanti. Le prime osservazioni, effettuate nel 2009 in quattro distinte rilevazioni stagionali, hanno riguardato 150 milioni di insetti in molte province del nostro Paese. Cinque di esse, che hanno fornito il 25 per cento dei dati complessivi, si trovano in Toscana, dove il problema della sparizione delle api è molto sentito. Per questo, il Consiglio regionale toscano ha contribuito al funzionamento del monitoraggio, attivandosi anche per aumentare le tutele a favore di produttori e consumatori degli squisiti prodotti delle piccole «operaie», a iniziare dal miele, prelibato e nutriente: «Le api sono la migliore sentinella biologica che abbiamo a disposizione – ricorda Aldo Manetti, presidente della Commissione agricoltura della Toscana – e perciò è fondamentale difendere la loro salute ma anche proseguire nella ricerca scientifica e regolare meglio i controlli internazionali sulle sostanze chimiche utilizzate in agricoltura. Servono decisioni europee che limitino l’uso di prodotti che possono risultare nocivi». Insieme alla rete di monitoraggio, è prevista anche una parte didattica: dal prossimo 12 febbraio, verranno organizzati per gli studenti ad Alberese, in provincia di Grosseto, laboratori di osservazione diretta della vita delle api, per conoscere da vicino l’opera quotidiana di questi straordinari insetti. Instancabili operaie. Le ventimila api bottinatrici dell’alveare – quelle che vanno in cerca del nettare – visitano ogni giorno almeno 14 milioni (avete capito bene...) di fiori. Il che significa che se la metà di loro morisse, ci sarebbero metà viaggi e, di conseguenza, metà impollinazioni e metà frutta e ortaggi. Con un enorme danno economico per il nostro Paese, quantificabile in miliardi di euro. Le api di un alveare percorrono centocinquantamila chilometri – che significa quattro volte il giro della Terra – in un raggio di soli tre chilometri di volo: un gran daffare, per produrre solo uno dei 250 chili di miele di cui necessitano in un anno. La rugiada che non ti aspetti. Talvolta si usa trattare l’alveare con sostanze chimiche, come i pesticidi, per debellare alcune specie di acari, dannose per le api. Ma quelle stesse sostanze, vietate dalla legge, rischiano di contaminare anche i prodotti delle api. Lo ha scoperto la Guardia forestale, che nelle Marche ha sequestrato undicimila confezioni di pastiglie di propoli, prodotte da due diverse ditte, perché contaminate da antiparassitari. Le analisi di laboratorio hanno accertato la presenza di pesticidi anche in altri prodotti ottenuti dal lavoro nell’alveare, come la cera. Non solo: alcuni insetticidi tossici sarebbero riusciti da avvelenare perfino la rugiada. Il professor Vincenzo Girolami, della facoltà di Agraria dell’università di Padova, ha studiato il fenomeno: «Anche le piante sudano – spiega il professore – in un processo che si chiama guttazione». La guttazione consiste nell’eliminazione di acqua dalle foglie che si verifica quando, per l’eccessiva umidità atmosferica, la traspirazione non può avvenire regolarmente. «Insieme all’acqua in eccesso, la pianta espelle anche gli antiparassitari con cui è stato trattato il seme o con i quali è stata irrorata». E così perfino la rugiada, un tempo tersa e cristallina, finisce per essere inquinata dai veleni che intossicano il pianeta.
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