mercoledì 17 dicembre 2008
L'architettura non è solo moda e griffe: lo testimonia l'iter di Mario Galvagni. «I miei edifici realizzati in diagonale ben prima di Frank Gehry».
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Nel mondo dell’architettura non c’è chi non si ritenga sommamente originale, creatore di cose inconsuete, confezionatore e interprete di inedite potenzialità che danno nuova dignità non solo all’arte del costruire, ma a tutto il territorio che dall’immagine di questo è investito. Talvolta accade che qualcuno raggiunga veramente questa condizione. Mario Galvagni è tra questi pochi: giovane neolaureato, nel dopoguerra propose progetti che oggi, retrospettivamente, sono ritenuti preconizzatori del "decostruttivismo" (l’ultima tra le mode imperanti, che annovera tra gli esponenti di punta Frank O. Gehry). Al punto che persino un convinto critico di questa corrente, Nikos A. Salingaros, si inchina al suo genio: «Galvagni – scrive – può essere considerato il negletto padre del Decostruttivismo. Egli ha messo a frutto le sue cognizioni di fisica per individuare nuove morfologie architettoniche. Ha introdotto nel 1948 quell’architettura laminare che solo dopo molto tempo Frank O. Gehry ha usato per il suo Guggenheim di Bilbao (1991-97)». D’altro canto – come lo stesso Salingaros riconosce – diversa è la "moda" del momento, dal ragionamento che sottendono le opere di Galvagni. E in effetti questi rifiuta ogni etichetta: «Vorrei che si guardasse con maggiore attenzione alle mie ricerche attuali e non ci si limitasse far riemergere quanto realizzai agli inizi della carriera».Per comprendere il problema, occorre focalizzare un poco la temperie culturale degli anni ’40-’50 e paragonarla con l’oggi. Allora la moda imperante era quella razionalista: linee diritte, angoli retti, economia spaziale e tutta la serie di proposte che elaborò il grande fondatore di questo approccio, Le Corbusier, nel tentativo di rispondere alle esigenze di un’architettura di "massa", capace di rispondere alla necessità della poderosa inurbazione e quindi di costruire tanto e in fretta, il che andava assieme allo sviluppo della grande industria col suo potere centripeto e le sue necessità di serializzare.Tramontata quell’epoca, oggi gli architetti vagano in un mondo dove si sommano diverse suggestioni: dalla necessità del risparmio energetico, al riconoscimento dei limiti cui portò la volgarizzazione del razionalismo nell’edilizia ripetuta e impersonale, all’imperativo del recupero della storia. La reazione al razionalismo si rivolge all’emozione e, in opposizione alla "ratio", molti vagheggiano l’irrazionalismo. Si alternano nuove "correnti" che assumono nomi diversi, dal "postmodern" allo "high-tech". Tutte alla ricerca di qualcosa che si distacchi dalla matrice che caratterizzò il lungo periodo del postguerra e del boom economico. Insieme con la sensibilità ecologista, negli anni ’70 si è anche diffuso il verbo del "genius loci": la ricerca della connessione con la storia e la cultura del luogo nei suoi tratti salienti. «Ma anche questa è diventata moda e si è banalizzata nella vacua ripetizione del termine» sostiene Galvagni, avverso a ogni moda. Nei primi anni ’50 ha progettato edifici che sorgono in diagonale, dalla terra. Ma non era una opposizione all’imperante geometrizzazione regolare dei disegni: era il punto di partenza di quella ricerca a tutto campo che oggi chiama "ecologia della Gestalt". Termine che riassume l’antico desiderio di mettere assieme cultura e natura in una totalità che si rende sintesi globale: la forma intesa non come espressione di superficie, ma come interpretazione radicata nel mondo e nella cultura.La casa di Aristide Silva a Caldonazzo (Trento, 1954) sorge dal suolo secondo diagonali: non è decostruttiva, è un’immagine ripresa dalle vicine Dolomiti, stratificate secondo linee inclinate. È un particolare del monte tradotto in progetto e reso abitabile. Disegnare per linee ortogonali resta relativamente semplice, ma è astratto, proprio come lo spazio euclideo: si riferisce a qualcosa che non è presente in natura. Galvagni, sin dall’inizio, è alla ricerca dello "spazio percettivo diagonale", cioè, quel che sta tra gli angoli e può esprimersi in vortici o articolazioni organiche. Nel ’54 progetta un trampolino per tuffi al lido di Gozzano (No): l’analisi delle linee di forza, del movimento delle acque e dei venti, lo porta a una scultura biomorfa che ricorda un enorme ginocchio: un progetto che oggi molti assocerebbero a Santiago Calatrava. Ma allora il noto architetto sivigliano era appena nato.Le "architettura laminari", proposte dal ’48, sono forme che sorgono da linee a voluta intagliate su fogli: specie di origami progettuali. Galvagni ha riproposto anche recentemente questo approccio per alcuni edifici in Milano. Ma subisce il destino di tutte le voci che cantano fuori dal coro. Alcuni progetti composti negli anni ’60 per il lago di Garda, sono stati rifiutati perché giudicati inaccettabili dalle locali Soprintendenze. Altri, accettati don difficoltà a fine anni ’50 nella zona di Torre del Mare in Liguria, oggi sono edifici protetti per il loro valore architettonico e paesaggistico. Sono forme (case, alberghi, giardini) che sembrano scaturire dagli speroni di roccia e moltiplicarne le asprezze, pareti incavate per ritagliare scorci sul paesaggio marino, colonne modellate come steli di fiori giganteschi che ricordano l’approccio di Gaudí. Al primo posto, nell’affrontare il progetto, Galvagni pone il colloquio col committente e l’analisi del sito, nella sua morfologia ma anche nelle usanze che vi sono radicate. Nell’illustrare le sue opere, racconta quanto siano stati importanti i profumi dei fiori o la salsedine dei frangenti sotto il dirupo. Tutto fa parte della "matrice estetica" che va composta prima di mettere mano al disegno, anche lo studio attento della fisica delle particelle: «Perché siamo fatti della cultura della nostra epoca e questa è fonte di suggestione fruttuosa. Se abbiamo compreso che lo spazio-tempo einsteiniano si muove secondo linee curve, questo deve essere assunto anche in architettura...». Ora Galvagni è impegnato nel progettare emergenze architettoniche lungo quello che dovrebbe essere il nuovo Canale Villoresi, che riporti nella Brianza un poco di quello che fu lo splendore medievale della campagna lombarda: giganteschi "fiori" fungerebbero da piazze attorno a cui si potrebbero aggregare diversi ambienti pubblici, a carattere culturale o commerciale. Sono immagini di un visionario, difficili da digerire: sempre troppo all’avanguardia.Chi è Mario Galvagni. Diplomatosi in pittura all’Accademia di Brera nel ’52, Mario Galvagni (nella foto) si è laureato in architettura l’anno successivo al Politecnico di Milano e dal 1981 è socio della Società Italiana di Fisica, cui invia con continuità comunicazioni in merito alle sue indagini sulla relatività einsteiniana. Dai primi anni ’50 espone opere artistiche e disegni in diverse gallerie (nel ’70 sarà al Poldi Pezzoli, nel ’71 al Centro San Fedele di Milano, nel ’78 alla Biennle di Venezia, nel 2001 a Palazzo Pitti di Firenze). Nel ’53 realizza la sua prima opera architettonica, la Casa Aristide Silva a Caldonazzo (Trento); il più importante complesso completato è quello di Torre de Mare (SV), un villaggio cresciuto nel tempo, dalla metà degli anni Cinquanta in poi. Dagli anni ’90 svolge seminari di Ecologia della Forma presso le Università di Pavia  e di Parma.
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