sabato 31 maggio 2014
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Caro Massimo, vent’anni fa tornavo da un esame (Università) quando ho saputo che eri volato via, per sempre. Avevi solo 41 anni. T’eri fatto “leggiero”, - la prima cosa che ho pensato - come Lello (Arena) sulla canna della tua bicicletta, mentre pedalavi per le vie di Firenze. E a chiunque, sentendo l’accento, ti chiedeva: «Napoletano, vero! Emigrante?», tu imbarazzato e toccandoti nervosamente il sopracciglio ribattevi: «No, turista». In questi vent’anni non sai quanto cose sono cambiate quaggiù. Anche quella domanda non la fanno mica più ai napoletani. Gli emigranti è una categoria rimossa, sconosciuta. Si parla solo di milioni di immigrati, extracomunitari, clandestini, di barconi pieni di disperati che arrivano dall’altra parte del mare. «Voglio ’o mare... Pè chi si cerca e va luntano. E per sognare poi qualcosa arriverà». Ti assicuro però, che le Vie del Signore non sono finite e non tutte le volte che uno pensa che sia amore, poi ti ritrovi a fare i conti con un calesse. Anche se il dibattito è ancora aperto su certe tue teorie, tipo: «Io non è che sia contrario al matrimonio, però mi pare che un uomo e una donna siano le persone meno adatte a sposarsi». Per sognare nella vita poi qualcosa arriverà... Già, ma per chi, come me (e siamo in tanti), è cresciuto con la tua bella faccia melancomica è stato impossibile trovare un altro Troisi con cui sognare. Il giorno che sei andato via mi sono detto: adesso non ci resta che piangere. Poi però alla tv mi sono rivisto “Morto Troisi, viva Troisi” e ho capito che l’arte, quella vera, non muore mai. Quella sì che era l’annunciazione del teatrante di razza, dell’erede naturale di Eduardo prestato al cinema. «Ma anche questo l’avete detto già, vero?», come dicevi tu, quando cercavi di spiegare il “miracolo” dello scudetto del Napoli. Dopo che sei andavo via, se ne è andato lontano anche Maradona e neppure quello, lo scudetto, si è più rivisto sotto il Vesuvio. A San Giorgio a Cremano invece una volta ho visto due giovani innamorati che si baciavano sotto casa di lei e lui sussurrava qualcosa che mi piaceva pensare fossero le tue parole: «Tanto nun passa nisciuno e nisciuno ce po’ guardà, te voglio bene…». Nel mare di parole che sono state scritte e dette per cercare di riempire almeno un po’ quel vuoto che hai lasciato quaggiù, nel cinema e nelle nostre vite di ragazzi di ieri, in fondo solo questo volevo dirti: “te voglio bene” Massimo.
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