domenica 17 marzo 2019
Un volume raccoglie alcuni interventi di “Civiltà cattolica” sulla missione della Chiesa in Cina. Nella prefazione il cardinale Parolin sottolinea il cammino faticoso ma positivo intrapreso
Cristiani cinesi in preghiera durante il Natale a Pechino (Ansa)

Cristiani cinesi in preghiera durante il Natale a Pechino (Ansa)

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Anticipiamo alcuni brani della prefazione del cardinale Pietro Parolin al volume "La Chiesa in Cina. Un futuro da scrivere" (edito da Ancora, pagine 140, euro 17), che raccoglie alcuni interventi di "Civilità cattolica" sulla missione della Chiesa nel Paese asiatico. Il volume esce in libreria martedì e verrà presentato lunedì 25 marzo, alle 18, nella sede della "Civiltà cattolica" (via di Porta Pinciana 1 a Roma) da monsignor Claudio Maria Celli e Arturo Sosa. Le conclusioni dell'incontro saranno di Giuseppe Conte, attuale presidente del Consiglio itailano. Modera Antonio Spadaro, direttore della rivista "Civiltà cattolica".

Risulta significativo che questa raccolta monografica veda la luce a cent’anni esatti dalla Lettera apostolica Maximum Illud di Papa Benedetto XV, documento pontificio interamente dedicato alle missioni, al fine di promuoverne una riforma complessiva, che, utilizzando il linguaggio di Papa Francesco, potremmo chiamare una «conversione pastorale». Certo, la Maximum Illud rifletteva anzitutto il grande impegno di Benedetto XV per la pace nel quadro drammatico della prima guerra mondiale, da lui giustamente definita «inutile strage », ma era pervasa anche da una proiezione di annuncio evangelico globale che, riconoscendo l’eroismo di tanti missionari, constatava realisticamente anche i limiti dell’opera svolta per portare il Vangelo a tutti, e chiedeva di ritornare alle sorgenti spirituali e pastorali della missione ad gentes.

Di conseguenza, Benedetto XV rivolgeva una serie di raccomandazioni, chiedendo ai missionari maggiore dinamicità, una più stretta cooperazione tra congregazioni religiose – senza esclusivismi e concorrenzialità –, lo sviluppo della collaborazione tra diocesi vicine e, soprattutto, l’abbandono di atteggiamenti di superiorità verso il clero autoctono, insieme ad un maggior zelo nella sua formazione. Inoltre, ammoniva circa il pericolo di coltivare sentimenti nazionalistici e raccomandava una solida preparazione culturale attraverso l’apprendimento della lingua locale, per sviluppare una predicazione efficace. La Lettera apostolica conteneva infine un messaggio forte e preciso: le missioni non sono un’estensione della cristianità occidentale, ma l’espressione di una Chiesa che vuole essere veramente universale.

Era un messaggio rivolto anzitutto alla Cina. Le principali sollecitazioni venivano, infatti, proprio da quel grande Paese, ad opera di missionari come i Padri lazzaristi Vincent Lebbe e Antoine Cotta, e Mons. Jean Baptiste de Guebriant, delle Missioni Estere di Parigi (M.E.P.). A Roma, tali considerazioni ricevettero grande attenzione e ascolto. Da tempo, la Santa Sede avvertiva l’esigenza di sviluppare nuovi rapporti anche con Stati che non rientravano fra le tradizionali «Nazioni cristiane» e che si collocavano fuori dall’orizzonte europeo. All’uscita dalla Grande Guerra, si percepiva poi l’urgenza di mettere le missioni cattoliche al riparo dagli scontri tra i nazionalismi europei, i cui effetti negativi si avvertivano acutamente anche in ambito cinese. In tale contesto, si colloca il dialogo condotto in quegli anni per stabilire relazioni amichevoli tra la Sede Apostolica e il nuovo Stato cinese che veniva costituendosi dopo la fine dell’Impero.

Così, come già altre volte, la Cina divenne il “laboratorio” missionario, dal quale ebbero inizio un ripensamento e un rinnovamento dell’opera di evangelizzazione della Chiesa cattolica destinati ad estendersi al resto del mondo. Non è un caso: la Chiesa, infatti, ha sempre riconosciuto e rispettato le peculiarità e la ricchezza della civiltà e della storia cinesi. Il nuovo approccio missionario maturato in Cina veniva proposto per tutto il mondo sulla base di un forte senso dell’universalità della Chiesa, da cui scaturiva indirettamente il riconoscimento della pari dignità di tutti i popoli e di tutti i Paesi cui veniva rivolto l’annuncio del Vangelo. Uno dei più importanti realizzatori delle prospettive indicate da Papa Benedetto XV, S.E. Mons. Celso Costantini, primo Delegato apostolico in Cina, guardava a Pechino come ad un centro da cui doveva partire uno slancio evangelizzatore per tutta l’Asia. È noto che non mancarono all’epoca resistenze dentro e fuori della Chiesa. Vennero anzitutto dalle potenze europee, che si sentirono espropriate di un secolare controllo sulle missioni, sopravvissuto in modo singolare anche alla separazione ottocentesca tra Chiesa e Stato. D’altro canto, la Santa Sede aveva maturato la consapevolezza dell’alto prezzo pagato per questa protezione in termini di credibilità nell’annuncio del Vangelo. Ma non meno profonde e dolorose, anche se meno visibili, furono le riserve provenienti dall’interno della Chiesa.

Perciò, la Lettera apostolica venne ignorata da alcuni, fu accolta da altri solo negli aspetti che riguardavano la cooperazione missionaria e rimase sostanzialmente incompresa da molti. E non c’è forse da stupirsi, visto che si trattava di un’autentica svolta storica sintetizzata dalla Maximum Illud con le seguenti parole: «Poiché, come la Chiesa di Dio è universale, e quindi per nulla straniera presso nessun popolo, così è conveniente che in ciascuna nazione vi siano dei sacerdoti capaci di indirizzare, come maestri e guide, per la via dell’eterna salute i propri connazionali. Dove dunque esisterà una quantità sufficiente di clero indigeno ben istruito e degno della sua santa vocazione, ivi la Chiesa potrà dirsi bene fondata, e l’opera del Missionario compiuta. E se mai si levasse il nembo della persecuzione per abbattere quella Chiesa, non vi sarebbe da temere che, con quella base e con quelle radici così salde, essa non soccomberebbe agli assalti nemici».

Queste parole anticiparono in modo sorprendente quanto poi sarebbe accaduto in Cina nel corso del Novecento. Malgrado tante prove e tante difficoltà, la Chiesa ivi impiantata è ancora oggi ben viva, perché le radici costituite dal clero autoctono hanno resistito anche alle stagioni avverse. Tutto ciò spinge ad interrogarsi ancora sull’attualità della presenza cattolica in Cina. Di certo, molte cose sono accadute nel mondo in questi cento anni e, rispetto ad un secolo fa, molte cose sono cambiate anche nella Chiesa: basti qui ricordare solo il grande evento costituito dal Concilio Vaticano II. Tuttavia, anche se adesso sono i credenti cinesi a prendersi cura della loro Chiesa, l’evangelizzazione della Cina costituisce ancora oggi una sfida decisiva per tutta la Cattolicità. E anche oggi, come cento anni fa, il caso cinese mostra che per affrontare la sfida dell’evangelizzazione occorre anzitutto ritessere l’unità della Chiesa.

Com’è noto, importanti passi avanti in questo senso sono stati compiuti recentemente. Proprio al fine di sostenere l’annuncio del Vangelo in Cina, l’8 settembre 2018 il Santo Padre Francesco ha accolto nella piena comunione i restanti sette Vescovi “ufficiali” ordinati senza mandato pontificio. Naturalmente, per la vita della Chiesa in Cina molti problemi sono ancora aperti. Perciò è quanto mai necessario che anche in Cina prenda avvio progressivamente un cammino serio di purificazione della memoria.

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