martedì 21 ottobre 2014
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Papa Francesco l’ha voluta (unica donna) nella Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Nata a Linhares (Brasile) 59 anni fa, dal 2010 suor Luzia Premoli è la 12ª superiora generale – prima non italiana – delle Pie Madri della Nigrizia (comboniane). Laureata in psicologia, specialista in counseling, in Mozambico è stata per 8 anni educatrice nella pastorale femminile e insegnante in seminario, oltre che economa provinciale. Nel 1997 è rientrata in Brasile come formatrice delle novizie, diventando nel 2005 superiora provinciale.«Penso che le religiose potrebbero essere più valorizzate a livello ecclesiale se fosse loro riconosciuto il contributo in quanto donne e consacrate, se ci fosse un autentico lavoro alla pari soprattutto con la gerarchia, in una Chiesa che si intende come corpo – così la definisce il Concilio – dove ogni membro è importante e insostituibile per il suo buon funzionamento. Questo vale anche per laici e laiche, la maggioranza dei fedeli». Schietta e cristallina nel suo pensiero, con quella concretezza che i missionari allenano sul campo del mondo, la superiora generale delle missionarie comboniane suor Luzia Premoli entra subito nel merito delle domande che le vengono poste, senza giri di parole. Il 13 settembre Papa Francesco l’ha nominata membro della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli: «Sono tornata dal Brasile a fine agosto, dov’ero in visita alle comunità, e ho trovato sul mio tavolo la lettera: una grande sorpresa. Il sentimento è di gratitudine, perché questa nomina significa un riconoscimento all’Istituto. Il nostro rapporto con Propaganda Fide risale alla fondazione, quando san Daniele Comboni ideò il "Piano per la rigenerazione dell’Africa" e glielo sottopose il 15 settembre 1864». Oggi le comboniane, di una quarantina di nazionalità diverse, sono presenti in 32 Paesi.È la prima volta che a essere nominata è una donna e una superiora di un istituto femminile. «Nel 1982 appaiono le prime suore tra i consultori; dal ’93 al 2003 la comboniana suor Giuseppina Tresoldi, superiora generale dell’Istituto dal 1986 al ’92, figura tra loro tra loro. A me è toccata la nomina come membro di questa Congregazione: vedo in questa scelta un segno concreto dei cambiamenti che papa Francesco desidera, cioè che la donna sia più presente nei vari organismi della Chiesa. Lui parla di una presenza in luoghi di decisioni. Per concretizzare questi sogni c’è ancora un lungo cammino da fare, ma grazie a Dio siamo sulla buona strada». Qual è il suo compito nel dicastero vaticano? «Certamente compiti specifici saranno comunicati nei prossimi mesi. Per esempio è in corso il lavoro per la 19ª assemblea plenaria che si terrà alla fine del 2015 su 'Coscienza ecclesiale e Missio ad gentes. Il servizio della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli a 50 anni dal documento conciliare Ad gentes. In queste assemblee tutti i membri hanno una partecipazione attiva e possono dare il loro contributo. Spero di poter contribuire con la mia esperienza di consacrata missionaria e anche con le conoscenze che il mio ruolo nell’Istituto mi ha permesso di acquisire». Era il 1978 quando all’Università di Asmara (Eritrea) diventava rettore la comboniana suor Anna Soriolo. «Tante sorelle hanno ricoperto cariche di responsabilità sia in scuole che ospedali o altre opere sociali. La professionalità e capacità di tante suore ha contribuito per qualità e per etica alla formazione di personale che ha inciso significativamente nel tessuto sociale di tante comunità e nello sviluppo dei Paesi». Perché ha scelto di entrare proprio fra le comboniane? «Ho conosciuto Daniele Comboni tramite la lettura di una sua biografia: avevo 13 anni. Ho divorato quel volume e alla fine ho detto a me stessa: 'Io non so se sarò una suora, ma – se lo diventerò – sarò una di quelle di cui si parla in questo libro'. Il sogno di Comboni, la sua passione di annunciare il Vangelo a chi non lo conosceva, sapere che c’erano donne che lo avevano seguito e che consacravano la vita per la missione, soprattutto in Africa, mi hanno sedotta. Dopo ho conosciuto le comboniane nella mia parrocchia. La loro testimonianza nell’apostolato catechetico, nella promozione della gioventù e della donna, la vicinanza ai poveri, hanno confermato la mia decisione latente. Quando a 23 anni ho deciso, non ho avuto dubbi; e oggi, dopo 31 anni di consacrazione, sono felice e sicura di aver preso la strada giusta». In questi anni di vita religiosa dove ha riconosciuto il volto materno della Chiesa? «L’ho incontrato in mezzo al popolo e tra le mie sorelle, particolarmente nelle donne con cui ho vissuto in Mozambico al tempo della guerra civile. Donne di fede capaci di sostenere le loro famiglie in mezzo a paure, sofferenze, lunghe attese di pace e di vita degna. Sorelle a fianco del popolo come segno di speranza e compassione, in 'adorazione e servizio', come ha sottolineato papa Francesco parlando della missione delle consacrate. Ero ancora giovane quando la vita religiosa in Brasile ha compiuto un esodo verso le periferie delle grandi città e lì – in quei luoghi di povertà, miseria e abbandono – sono state soprattutto le consacrate il volto materno ecclesiale che si ricreava in migliaia di comunità ecclesiali di base, dove la Chiesa diventava una casa dalle porte aperte in cui tutti trovavano un posto e avevano una voce». E le vocazioni? «I tempi dei grandi gruppi sono passati per tutte le congregazioni. Attualmente il gruppo più significativo viene dall’Africa; abbiamo due giovani italiane, una nel postulato a Granada in Spagna e una nel noviziato in Quito, in Equador. Quest’anno hanno professato i primi voti 9 giovani di 7 nazionalità diverse e di tre continenti: un grande dono che comporta anche la sfida delle relazioni interculturali all’interno dell’Istituto». Quali problemi l’universo femminile affronta oggi? «Comboni ha combattuto la schiavitù degli africani nel suo tempo. Oggi il traffico di essere umani, soprattutto la tratta delle donne, si impone come 'la schiavitù più estesa', come ha detto il Papa. Questo fenomeno che ci fa arrossire non incombe solamente nel Sud del mondo: è dappertutto. In Europa e in Italia siamo impegnate nell’apostolato e nel lavoro con i migranti e con le vittime di tratta. Essere ponti, essere donne di riconciliazione, di dialogo, di pace: questa è la nostra vocazione, la nostra gioia. Poter essere per l’umanità una presenza che fa vedere il volto materno di Dio».
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