lunedì 16 giugno 2014
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«Se c’è un vuoto normativo sta al legislatore riempirlo. Anche se il Parlamento non si accosta molto volentieri a questi argomenti impegnativi e divisivi...». Chiama in causa direttamente deputati e senatori il presidente emerito della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli, commentando le motivazioni della sentenza della Consulta che ha fatto cadere il divieto di fecondazione eterologa, per le sole coppie sterili, in nome di un asserito diritto al figlio. Al potere legislativo toccherà dunque intervenire per fare chiarezza sulla parte relativa alle sanzioni per chi, senza averne i requisiti, dovesse ricorrere alla fecondazione eterologa. «Sul punto – osserva Mirabelli – è opportuna una riflessione, ma non c’è certamente da attendersi una integrazione da parte della stessa Corte, quasi come la correzione di un errore materiale».Come sanzionare eventuali violazioni?È opportuno che i divieti residui siano sanzionati. Ma non credo ci sarà, di fatto, un accertamento di avvenuta fecondazione eterologa in presenza di una persona che sterile non era. La stessa nozione di sterilità è relativa. Chi dice che una coppia è sterile o non lo è? Può essere sterile e la sterilità sanabile. A meno che non si tratti di sterilità assoluta, quale la mancanza di organi riproduttivi.Perché, allora, porre la sterilità come condizione decisiva?Mi pare un velo un po’ ipocrita, perché di fatto, chiunque potrebbe effettuare questa pratica, essendo il presupposto della sterilità molto labile. Di fondo, questa sentenza ha un forte radicamento individualistico e di prevalenza del proprio “benessere” sulla situazione di ogni altro, anche di chi sarà concepito, che mi fa esprimere una riserva e un dissenso.Quali sono gli aspetti più preoccupanti?C’è una visione di fondo molto soggettiva e strumentale: il concepimento, comunque procurato, diviene strumento per la propria salute e lo diviene il concepito. Non mi sembra un atto di generosità ma di egoismo. Rispetto a questa pretesa, la posizione del nascituro recede fino a essere del tutto irrilevante. Se pure si parla di bilanciamento di diritti, solitamente rimesso al legislatore, quello operato dalla Corte appare “sbilanciato”. È questo il punto culturalmente debole della sentenza: la visione puramente soggettiva di un diritto forte di chi vuole generare, considerata come pretesa e non come aspirazione, predetermina un intervento su altri la cui posizione è così fievole da non essere in alcun modo protetta.Mettere al primo posto il diritto alla salute quali scenari apre?Non solo avere un figlio, ma anche averlo sano può incidere sullo stato di salute. E quindi siamo sicuri che le pratiche eugenetiche, per fortuna escluse dalla sentenza, non faranno il loro placido ingresso se ci muoviamo in questa direzione? Perché non posso confezionare il figlio adeguato alle mie aspettative, se queste sono l’elemento centrale della mia salute? È evidente che c’è un problema culturale di fondo. Occorre un ripensamento complessivo in questo ambito, senza ideologismi ma con una capacità di riflessione che deve riguardare tutti. Ci aspetta una sfida culturale: formare non solamente le coscienze ma rendere cosciente la società. Facendo grande attenzione alla deriva che possono prendere i diritti fondamentali se assumono questo verso iper-individualistico sancito dalla Corte.
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