venerdì 19 febbraio 2021
Scrivevo ieri: se toccasse a me, domani. L'attesa di vedere, come promette Paolo ai Corinzi, "faccia a faccia". No, non è cosa riducibile in parole. Però ho in me la speranza, invece così umana, di ritrovare quel giorno quelli che ho amato. E a volte, prima di dormire, mi lascio immaginare.
Sarà nelle Dolomiti, nel sole di luglio. Vedrò delle persone da lontano, un gruppo, come di gitanti; poi, di colpo, vicine. Loro.
Mio padre, con il vecchio impermeabile che portava nei suoi lunghi viaggi, e gli occhi pensosi ora come sgravati dal peso che portavano dentro. Mia madre, prima che il dolore la trasfigurasse: bella, bionda, le braccia aperte ad aspettarmi. Mia sorella: col viso fine e la lunga treccia bruna, sorridente, quasi che il suo andarsene bambina fosse stato un gioco, durato solo un istante. Mio fratello sarebbe ancora ragazzo, bello e forte sulla sua bici da corsa, velocissimo sulla discesa dal Passo Gardena, felice dell'aria fredda che gli taglia le guance. Eccovi dunque, eravate allora così vicini? domanderei meravigliata.
E mi accorgerei che sono alta un metro, e ho cinque anni. Piccola e prepotente com'ero allora. "Perché mi avete lasciato sola?" protesterei arrabbiata, "io vi ho aspettato tanto". Ma il tempo della mia vita, ai miei occhi di prima interminabile, adesso sarebbe rappreso in un secondo. Un nulla a fronte dell'essere insieme, ora per sempre.
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