giovedì 4 febbraio 2021
Le strade delle città in questi mesi così insolitamente silenziose, e vuoti i bar dei paesi dove i vecchi giocavano a carte. Il silenzio è il marchio dell'epidemia: un silenzio attonito, stranito. Questo silenzio mi sgomenta. Ma è come l'acqua di un mare: se ti ci abbandoni non anneghi, e l'acqua ti sostiene, e anzi ti culla. Dentro al silenzio, stando in ascolto, si avvicinano i ricordi. Remoti o di pochi anni fa, in immagini nettissime, come accadute ieri. Il grande letto matrimoniale della casa in montagna, e, viste dal basso dei miei quattro anni, le lenzuola stese al sole, e il profumo di sapone di Marsiglia. Poi, con un salto nel tempo, ecco me stessa, adolescente, che interrogo uno specchio in una vetrina, incerta se sono una bambina, o ormai una donna. Indietro, ancora: piccola, seduta davanti alla gabbia dei nostri sei canarini, emozionata allo schiudersi delle uova. E, di colpo, la faccia impietrita di mia madre accanto a mia sorella bianca in volto, già trasfigurata dalla morte. Anarchici e prepotenti i ricordi, non tollerano alcun ordine, o disciplina. Mi ero dimenticata, nel fare, nel lavorare, nel crescere i figli, del segreto labirinto descritto da Agostino. Nel doloroso silenzio del Covid, però, torna a galla questo mondo sommerso: eppure straordinariamente vivo.
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