giovedì 12 settembre 2013
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Slogan efficaci, battuta pronta, atteggiamento spigliato: Matteo Renzi dichiara guerra a Enrico Letta dagli studi di Porta a Porta, si scrolla di dosso le correnti – dopo la corsa a salire sul suo carro –, fissa i paletti per la data del congresso e dipinge un quadro in cui il suo vero avversario – il premier – resta a preoccuparsi della «seggiola», ma lui – il sindaco pronto a continuare il lavoro da primo cittadino insieme a quello di segretario – , è deciso a dargli una mano. Oltre a svariati consigli. Per cominciare, mettere fuori gioco il Cavaliere: «In qualsiasi Paese al mondo Berlusconi sarebbe andato a casa sua da solo senza aspettare alcuna decadenza. Quando una persona viene condannata con sentenza passata in giudicato, la partita è finita, è game over». Così, mentre il capo del governo cerca di trovare una via di uscita dignitosa dalla vicenda berlusconiana, il suo sfidante va giù a testa bassa. Renzi ha le mani libere e può giocare in attacco. Dare una mano all’"amico" Letta per far durare il suo governo? «Certo, non una ma due...», risponde davanti alle telecamere del talk show televisivo più noto. Anche se quello della durata é un «tic andreottiano» perché l’importante è «che faccia. Vogliono arrivare al semestre europeo?». Non con l’«immobilismo». L’importante è come ci «arrivano le nostre imprese. I mercati non si chiedono come sta Quagliariello o Zanonato, ma cosa si fa per il Paese». Letta, dunque, «deve avere il supporto di tutti e non avere paura. Si preoccupi di tagliare il cuneo fiscale...». In sintesi: scelga «se essere più Andreotti o Andreatta».Renzi, intanto, la sua battaglia la continua e senza risparmiare colpi. Deciso a far rispettare la data del congresso, proprio mentre si cerca di fissarla tra il 24 novembre e l’8 dicembre. «La scadenza è il 7 novembre. Perché non rispettarla?», taglia corto il sindaco di Firenze, che non ama il gioco di «chi sta con chi». Insomma, l’obiettivo è «cambiare». Anche pescando voti nel campo avversario, per non trovarsi poi con «Brunetta al governo», ironizza. «In questo momento con Grillo sul tetto ed il Pdl alle prese con la decadenza di Berlusconi, noi possiamo occuparci dell’Italia».Il rottamatore è sceso a Roma con un vagone di battute, per segnare la differenza rispetto al resto del partito. «Io Dc? Ci sono tra i post comunisti molti più democristiani. Epifani nelle liturgie è molto più doroteo. Mai stato tra i giovani dc dove c’erano Franceschini, Letta, eccetera. Il democristiano ti fa un lungo giro di parole, non è diretto. Io cresco nell’Ulivo di Prodi e nei comitati dell’Ulivo». E in questo stesso Pd di ex, dice, «l’impressione è che contino molto di più i burocrati che gli amministratori. Noi stiamo in mezzo alle persone, senza scorta, senza lampeggianti». Ma questo Pd è quello di Bersani, che «è riuscito quasi a dimezzare gli iscritti, si sono persi 3,5 milioni di voti e ci è toccato di perdere le elezioni. Poi mi spiegate la differenza tra non vincere e perdere».
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