venerdì 1 novembre 2013
​Pressing di Berlusconi: rientra in Forza Italia, ho stragrande maggioranza. Ma i ministri: 400 firme al nostro documento. È conta in Cn e al Senato. Ventidue senatori governativi si appellano a Grasso per chiedere di tornare al voto segreto.
Berlusconi: autogol della sinistra
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​Ormai è una guerra psicologica. Silvio Berlusconi e Angelino Alfano sono vicini e lontani, uniti e divisi. Il Cavaliere, al termine di una giornata in cui ha incontrato uno ad uno i falchi Fitto, Verdini e Bondi, e poi i "pontieri" Gasparri, Matteoli e Romani, tira fuori una nota senza apparenti minacce né al governo né ai ministri: «Il nostro popolo vuole unità – scrive l’ex premier –. Il documento approvato dall’Ufficio di presidenza (quello che sanciva il passaggio a Forza Italia, a cui Alfano non partecipò in aperto contrasto con il leader, ndr) è stato sottoscritto dall’amplissima maggioranza del Consiglio nazionale. Mi auguro si possa raggiungere un’ancora più ampia condivisione e che a questo punto si convochi il Consiglio nel più breve tempo possibile». Il resto, la cosa più importante, Berlusconi la dice a voce nei colloqui notturni con Angelino: «La mia priorità è l’unità del centrodestra. Non ho mai detto che voglio buttare giù il governo, ma voi dovete combattere perché nella manovra non ci siano tasse e non si torni indietro sulla casa. Se non cambia tutto, allora è ovvio che salta il banco. A meno che voi non intendiate mettervi a difendere le tasse e diventare subalterni alla sinistra con un drappello di transfughi...».

I ministri non si sbottonano, si limitano a dire che l’«unità» è una priorità per tutti, anche per loro. E soprattutto comprendono che il Cav sta giocando sulla loro paura di fare il "grande passo". Perciò, in serata, lasciano filtrare un dato-choc su quel Consiglio nazionale che Berlusconi dice di avere in pugno: «Non è vero, in 400 sono con noi». In pratica, la fotografia di un partito spaccato a metà (il Consiglio conta 800 membri), che dà la forza ad Alfano di ripetere a Berlusconi le sue condizioni: «Noi vogliamo proseguire insieme a te su due pilastri: la tua leadership e il sostegno al governo». Se manca il secondo punto, è meglio salutarsi.Non è un caso se proprio ieri la pattuglia governativa ha mandato avanti i senatori che a ridosso del 2 ottobre si erano esposti per la fiducia. In 22 hanno firmato una lettera a Grasso apparentemente pro-Berlusconi, in cui gli chiedono di «ignorare» la decisione della Giunta per il regolamento di votare la decadenza a scrutinio palese, e di tornare al voto segreto. Lungo la serata le adesioni aumentano, portando il conto a 25-26 unità. Ma Berlusconi è scaltro, comprende che anche i ministri stanno giocando d’astuzia, e capisce che la missiva al presidente del Senato è soprattutto un modo per contarsi, un modo per ricordare che l’esecutivo godrà ancora di una maggioranza politica anche dopo la decadenza. Tuttavia il Cav non demorde, e nell’ennesima anticipazione del libro di Bruno Vespa sembra già in campagna elettorale: «La sinistra ha fatto molti autogol, non riesce a battermi alle elezioni e perciò vuole eliminarmi. Ma il Paese ha capito, il fischio finale della partita ancora non è arrivato perché la sentenza-Mediaset sarà ribaltata».

È chiaro che la decisione del Senato sul Cav è lo spettro che agita Palazzo Grazioli, il Pdl e anche Palazzo Chigi. Il prossimo passo sarà la convocazione dei capigruppo per decidere la data del voto sulla decadenza. Il Pd chiederà una calendarizzazione veloce, entro metà novembre. Il Pdl dirà di no, facendo mancare l’unanimità e dunque rimandando la decisione all’Aula. Sarà il primo drammatico test per la tenuta della maggioranza. Anche se non ci sono conferme ufficiali, sui lavori d’Aula si sono confrontati pure Letta ed Epifani. Il premier ha una sola preoccupazione: evitare «accavallamenti» tra decadenza e varo della manovra. Cosa vuol dire? La sensazione è che Letta preferisca chiudere la pratica prima che l’esame della legge di stabilità entri nell’Aula di Palazzo Madama il 18 novembre.

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