venerdì 11 novembre 2011
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La crisi attuale sembra evidenziare come siano i mercati finanziari a dettare i ritmi e i tempi della politica. Ascoltiamo in proposito la riflessione del prof. Stefano Zamagni, presidente dell'Agenzia per il Terzo settore e docente di Economia politica all’Università di Bologna.È vero. Bisogna però capirne le ragioni e le radici. Il punto è che con l’avvento della globalizzazione, circa 30 anni fa, la politica scelse di abdicare al suo ruolo di scienza del buon governo. Quindi è stata la politica ad aprire le porte a quelli che oggi noi chiamiamo "i mercati finanziari", " mercati del lavoro globale" e così via. Ed è iniziata da quella stagione, da quella fase storica la cosiddetta "deregulation": dapprima sui movimenti delle merci e tutti dissero: "Bene, che bello! Così c’è un maggiore abbattimento dei prezzi, i consumatori saranno più contenti", e poi si è arrivati alla deregolamentazione delle attività che riguardavano la finanza. Ora, in una prima fase – direi fino alla fine degli anni ’80, inizio anni ’90 – questo ha avuto effetti positivi perché come tutti sanno – anche chi non ha studiato economia – abbattere le barriere, abbattere le posizioni di rendita e di privilegio ha un impatto positivo sui prezzi, sui costi eccetera. Non si è tenuto conto, però, del fatto che il meccanismo di mercato, una volta avviato, non si arresta più ed è quello che adesso noi vediamo. Cioè a dire: oggi la capacità di agire dei mercati finanziari è tale che la politica non può far a meno di accettare l’agenda che viene fissata da essi. Questo, quindi, è un problema serio, più di quanto non si creda. Perché? Perché siamo di fronte ad un grave deficit di democrazia, perché siamo in presenza di una forma di oligarchia tecnocratica che, a prescindere da obiettivi di per sé importanti, come l’aumento dell’efficienza, non assicura gli spazi di libertà che una autentica democrazia deve garantire.La possibile soluzione che si sta delineando per quanto riguarda l’Italia, secondo lei, è quindi richiesta dalla finanza internazionale, più che dalla politica italiana …Ma questo è evidente! Questo lo sanno tutti. Però, bisogna aggiungere: non ci sono alternative. E non ci sono alternative perché il rischio sarebbe quello di affossare definitivamente i destini del Paese. Allora, un governo di transizione, come quello che si va a prefigurare, deve soddisfare due condizioni. Primo, deve essere a termine, quindi dev’essere chiaro che non deve andare oltre i 18 mesi, un anno e mezzo. Secondo, che è un governo a cui si chiede di cambiare la legge elettorale perché quando fra 18 mesi si andrà a votare non potremo ripetere quell’errore che è stato fatto a suo tempo con il cosiddetto "porcellum", che ha ulteriormente peggiorato la situazione rispetto all’obiettivo della politica come scienza del buon governo.In questa soluzione temporanea, il ruolo dei laici cattolici quale può essere o quale dovrebbe essere?I laici cattolici avrebbero dovuto incominciare a battere un pugno sul tavolo almeno un anno, un anno e mezzo fa: probabilmente, oggi non ci troveremmo in questa situazione. Perché? Perché è ovvio che se c’è un pensiero che il movimento cattolico, nelle sue varie articolazioni, ha sempre coltivato è quello – appunto – della politica come scienza del buon governo. Cioè a dire, l’obiettivo della politica è il bene comune. Negli ultimi tempi, io non ho mai sentito – se non in questi ultimissimi mesi – parlare, addirittura usare, il lessicodel "bene comune". Ora, i cattolici in questi ultimi tempi, in Italia, sono stati un po’ troppo alla finestra: hanno curato e hanno fatto benissimo – non bene: benissimo! – la sfera culturale, e poi la sfera del sociale, dove hanno fatto super-bene – pensiamo alle Caritas e al contributo delle varie associazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale. Dove, invece, sono arretrati è sotto il profilo della politica, ma soprattutto c’è stato un modo di ritrarsi dall’attività politica con una sorta di demonizzazione. Ora stiamo pagando le conseguenze di questa ingenuità.Ci dobbiamo rassegnare a questo?No, no! Assolutamente no! L’incontro di Todi di poche settimane fa, a mio modo di vedere, ha rappresentato un vero e proprio punto di svolta. La presa d’atto che i cattolici, se vogliono testimoniare la loro coerenza con i principi, devono imboccare una via che, peraltro, in passato era stata imboccata in tempi più difficili. Forse, adesso, un governo di transizione cosiddetto "tecnico" può servire alla bisogna, può concedere a questo movimento cattolico che si è svegliato un pochino in ritardo, il tempo necessario per aggregarsi, ma soprattutto per passare da un manifesto delle intenzioni ad un vero e proprio programma di azione, che comprenda i vari capitoli, tra cui quello economico, sicuramente; ma c’è il capitolo del lavoro, c’è il capitolo della famiglia, c’è il capitolo – soprattutto – del nuovo modello di democrazia che dobbiamo realizzare, e cioè la democrazia "deliberativa", perché quella che abbiamo ricevuto dal recente passato non va più bene: è quel modello che gli anglosassoni chiamano "the private politics", cioè la politica privata. Quella non è politica. È un modo camuffato di parlare e di praticare l’affarismo.
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