mercoledì 16 gennaio 2013
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L’ultima nata l’hanno battezzata "Hopney" una birra al miele carica di speranza. Non difettano certo di creatività i detenuti del carcere di Saluzzo (Torino) che, sotto la guida del mastro birraio Andrea Bertola, arricchiscono di anno in anno la loro produzione. All’inizio furono la "Chicca" (birra al caffè), la "Tosta" (con note di cacao) e la "Taquamari" (ispirata allo stile Weizen, ottenuta con la fermentazione di riso basmati, amaranto, tapioca e quinoa). «Oggi produciamo tredici birre diverse. Oltre a un ottimo sidro», spiega con orgoglio Marco Ferrero, presidente della cooperativa "Pausa cafè". Nata nel 2004 a Torino, "Pausa cafè" è oggi attiva in diverse carceri piemontesi. Oltre alle "Vallette" di Torino e al carcere di Saluzzo è stato da poco lanciato un progetto innovativo all’interno del "San Michele" di Alessandria: «Faremo del carcere un presidio di biodiversità», spiega Ferrero senza nascondere l’entusiasmo. La direzione ha messo a disposizione un appezzamento di tre ettari dove in primavera inizieranno i lavori della fattoria agricola biologica. «Oltre a ortaggi e frutta, coltiveremo varietà pregiate del territorio come l’asparago di Santena e la fragolina di Tortona, una piccolo frutto dal profumo straordinario ma facilmente deperibile», spiega Ferrero. I quattro detenuti assunti impareranno da contadini esperti a prendersi cura di queste varietà pregiate.Sempre all’interno del carcere di Alessandria è stato completato un grande forno a legna (cinque metri di diametro) che permetterà di produrre oltre 2.500 chilogrammi di pane al giorno. Pane biologico, ovviamente, con farine macinate a pietra e lievitato con pasta madre. La produzione è stata affidata a un gruppo di cinque detenuti che hanno imparato il mestiere da maestri panificatori.Da anni "Pausa Cafè" si ingegna per portare sempre più lavoro all’interno delle carceri. Ma soprattutto lavoro qualificante, che dia una professionalità. «Chi produce una buona birra acquista consapevolezza di sé e delle proprie capacità - spiega Ferrero -. Solo da qui si può ripartire per costruirsi una nuova vita». Molti degli ex detenuti oggi hanno trovato la loro strada nel mondo della ristorazione, come cuochi o pizzaioli, altri hanno creato una piccola impresa dando vita a un’attività autonoma. Ma le cooperative, da sole, possono fare poco: «Serve uno sforzo corale - sottolinea Ferrero - bisogna avere il coraggio di investire sul lavoro in carcere».Fedele a questo progetto la cooperativa torinese ha puntato sulla qualità. Sulla torrefazione di pregiate miscele di caffè dei presidii internazionali Slow Food, sull’attività di catering su un Bistrot a Grugliasco (To) dove hanno trovato lavoro alcuni degli ex detenuti precedentemente impiegati nelle attività intra moenia e alcuni ammessi alle misure alternative.
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