sabato 12 dicembre 2015
​La decisione della Corte d'Appello che consente a due donne di essere madri di una bambina avuta in Spagna contraddice gli Ermellini e la legge.
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Discutibile nei contenuti. E inequivocabile nel risultato che vuole raggiungere: indurre i cittadini a violare le leggi, o il legislatore a modificarle. L’esatto contrario di quanto ci si aspetta in uno Stato di diritto, dove il comportamento dei cittadini e l’azione del potere (anche quello giudiziario) dovrebbero conformarsi alle norme vigenti. Non cercare di scardinarle. La pronuncia dell’altro giorno si fonda in sintesi su questo assunto: l’Italia non prevede l’adozione omosessuale, ma allo stesso tempo non può non riconoscere quella validamente costituita in un altro Paese. Per giustificare questa visione, i giudici prima richiamano uno specifico principio del diritto internazionale privato (quello per cui un rapporto di filiazione validamente costituito all’estero deve essere trascritto anche in Italia, salvo sia contrario all’ordine pubblico), poi tentano di dimostrare che nel caso non esiste contrarietà ai nostri principi giuridici fondamentali. Corretta la prima affermazione. Molto discutibile la seconda, perché platealmente in contrasto con il parere della Cassazione: una delle cui funzioni è proprio assicurare - attraverso le sue autorevoli decisioni, cui dovrebbero conformarsi le magistrature inferiori chiamate a decidere in futuro casi simili - l’uniforme interpretazione delle leggi. Ebbene: con la sentenza 24001 dell’anno scorso, gli Ermellini hanno chiarito che un comportamento in spregio alle norme sull’adozione e teso a produrre una genitorialità disgiunta dal legame biologico è contrario all’ordine pubblico. La Corte, in quel frangente aveva rimosso gli effetti della maternità surrogata praticata da due cremaschi all’estero (in Italia è vietata dalla legge 40), ma la situazione giuridica appare molto simile a quella milanese. Dove pure l’espatrio è stato condotto in funzione elusiva delle norme sull’adozione e la bimba rimane priva sia del padre sia della madre che ha fornito l’ovocita. Salvo stare con quella che l’ha partorita e un’altra del tutto estranea alla sua nascita. Così, curiosamente, nella sentenza della Corte d’appello di Milano la pronuncia della Cassazione non trova spazio sebbene sia calzante, recente e dirimente. In compenso ve ne sono altre, eccentriche rispetto alla materia d’esame. A tanto non era arrivata nemmeno la Corte d’appello di Torino, quando con decreto 584/2013 aveva affidato un altro bimbo a 2 donne. In quel caso, però, la 'mamma A' aveva fornito i gameti e la 'mamma B' condotto la gravidanza. Dunque, diversamente dalla situazione milanese, entrambe detenevano una sorta di relazione con il minore. Altra differenza, l’atto estero di cui era stata chiesta la trascrizione: in Piemonte quello di nascita, in Lombardia quello dell’adozione. Ad accomunarle, invece, due provvedimenti giudiziari fuori - se non addirittura contro - la legge.
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