venerdì 10 ottobre 2014
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Lo spiazzo di un distributore di benzina, a Napoli. Un quattordicenne arriva in motorino. In tre, molto più grandi di lui, lo adocchiano. «Ehi, ciccione, dove vai?». Il ragazzino forse non ci fa molto caso. È abituato, a essere preso in giro perché è grasso. Se sei grasso, fra adolescenti di strada e non solo, sei inferiore. Sei fuori dai canoni comandati dai media; probabilmente sei anche povero, e ingrassi perché mangi tanti carboidrati, come i poveri. Dunque il ragazzino di Napoli al dileggio c’era abituato. Ma questa volta lo scherzo prende d’improvviso una piega feroce. «Ora ti gonfiamo». In due lo immobilizzano, il terzo con la pistola del compressore d’aria gli gonfia l’intestino fino a farlo scoppiare. Quando arriva in ospedale è tra la vita e la morte. Si può morire per tanti motivi, ma questa che un adolescente napoletano sta rischiando è la più tragica e stupida delle morti. Morire perché tre sfaccendati, in un pomeriggio vuoto, si annoiavano. Morire perché si è grassi, per il gesto di un idiota che nemmeno sa cosa sta provocando. L’arrestato non è un adolescente, ha 24 anni, come i suoi complici, denunciati a piede libero. Suo padre, in una intervista sul web, si accalora a difenderlo: «Mio figlio è un bravo ragazzo. È stato solo uno scherzo». E questa frase non fa che aggiungere drammaticità alla storia. A 24 anni prendi in giro un bambino, a 24 anni non sai quello che fai mentre lo costringi a star fermo e gli abbassi i pantaloni e prendi la pistola di un compressore? E tuo padre ti difende, come se avessi fatto una sciocchezza malauguratamente finita male. A 24 anni, fino a qualche decennio fa, si era uomini. Spesso si lavorava da un pezzo, ci si sposava, si avevano figli, si andava anche, purtroppo, in guerra. Ma a nessun genitore di un giovane di quella età sarebbe venuto in mente, davanti a un dramma come quello di Napoli, di difendere il figlio, di parlare di "scherzo". Si cresce più lentamente, in questa Italia del terzo millennio, e qualcuno anzi non cresce mai. Spesso non è colpa dei figli, ma di padri e madri che continuano a proteggerli, a evitare loro ogni responsabilità. È strana, questa mutazione prodottasi dopo la gran cesura che in Occidente sono stati gli anni Settanta, e il loro strascico di rifiuto del padre e della sua autorità. Di padri, se non autoritari, almeno autorevoli, ne sono rimasti in giro pochi. Questo che giustifica il figlio come avesse fatto una innocua bravata, è l’esempio estremo di una debolezza diffusa. Il giustificazionismo, la tendenza a proteggere i figli adolescenti e adulti come fossero ancora bambini sono diffusi. La conseguenza è che quei figli davvero non diventano grandi. Non si staccano da casa, non si sposano, non hanno figli. Galleggiano nella irresolutezza di un’adolescenza infinita. È vero, manca il lavoro, e manca disperatamente quello giovanile. Ma è vero anche che la generazione dei padri oggi fatica a dire ai figli: siete grandi ormai, andate. Qualcuno forse per questa storia di Napoli parlerà di bullismo. No, il bullismo è cosa di adolescenti, e questi tre del distributore di benzina sono uomini. Drammaticamente uomini, e infantili al punto di schernire un ragazzino perché è grasso, e di rischiare di ammazzarlo con una violenza da stupro. Cosa avrà detto a casa, l’altra sera, quello che impugnava la pistola dell’aria compressa? «Papà che sfortuna, oggi ho fatto uno scherzo e quello là si è sentito male...». E i genitori comprensivi: via, in realtà tu non volevi. Poi a muso duro, davanti ai giornalisti: «Mio figlio è un bravo ragazzo». Poveretto, lui non sapeva, non credeva. Ancora una volta a difendere il "bambino" – condannandolo in realtà a restare bambino per sempre.
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