lunedì 23 aprile 2018
La Corte di giustizia dell'Unione europea ha respinto il ricorso di «Uno di noi», l'iniziativa per la tutela dell'embrione nelle leggi Ue, contro il rigetto della petizione popolare dalla Commissione.
Un manifesto della campagna per la raccolta delle firme in Italia.

Un manifesto della campagna per la raccolta delle firme in Italia.

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L’iniziativa europea «Uno di noi» per ottenere la tutela della vita umana embrionale nella legislazione europea ha visto respinto dalla Corte Ue di Lussemburgo il suo ricorso contro la decisione della Commissione europea che il 28 maggio 2014 aveva rigettato la petizione popolare firmata da un milione 600mila cittadini Ue (un terzo le firme italiane). «Il Tribunale dell’Ue – si legge in una nota – conferma la decisione della Commissione di non presentare una proposta legislativa nell’ambito dell’iniziativa dei cittadini europei. La Commissione ha, infatti, sufficientemente motivato la sua decisione e non ha commesso errori manifesti nella valutazione della situazione giuridica». In particolare, spiega un comunicato della Corte, «la Commissione ha osservato che, poiché le spese dell’Unione devono essere conformi ai trattati dell’Unione e alla Carta dei diritti fondamentali, il diritto dell’Unione garantisce che tutta la spesa dell’Unione, compresa quella destinata ad attività di ricerca, cooperazione allo sviluppo e sanità pubblica, rispetti la dignità umana, il diritto alla vita e il diritto all’integrità della persona», un’autocertificazione contestata – dati alla mano – da «Uno di noi», iniziativa che in Italia è stata promossa dal Movimento per la Vita con l’appoggio di numerose altre associazioni e, nella fase di raccolta delle firme, anche di parrocchie, scuole cattoliche e centri culturali. «La Commissione – sottolinea ancora la Corte di Lussemburgo – ha altresì spiegato che la vigente normativa dell’Unione risponde già a molte importanti richieste degli autori dell’iniziativa, nella fattispecie che l’Unione non finanzi la distruzione di embrioni umani e che istituisca controlli adeguati. Infine, la Commissione ha affermato che il sostegno fornito dall’Unione nel settore medico-sanitario nei Paesi in via di sviluppo contribuisce in modo significativo a ridurre il numero di aborti mediante l’accesso a servizi sicuri ed efficienti e che un divieto di finanziamento dell’aborto praticato nei Paesi in via di sviluppo limiterebbe la capacità dell’Unione di realizzare gli obiettivi stabiliti in materia di cooperazione allo sviluppo, segnatamente quello relativo alla salute materna». Ovvero esattamente ciò che «Uno di noi» critica in modo esplicito.
La Commissione – argomenta ancora il Tribunale – «ha preso in considerazione il diritto alla vita e alla dignità umana degli embrioni umani prendendo al contempo in considerazione anche le esigenze della ricerca sulle cellule staminali, che può servire al trattamento di malattie attualmente incurabili o potenzialmente mortali, quali la malattia di Parkinson, il diabete, gli ictus, le malattie cardiovascolari e la cecità», un’asserzione scientificamente discutibile e peraltro già ampiamente sorpassata dai risultati offerti dalle cellule pluripotenti indotte, dalla terapia genica e dall’editing genetico, frontiere solo intuite quando Bruxelles chiuse la porta a «Uno di noi». Inoltre «la Commissione ha dimostrato il collegamento esistente tra gli aborti non sicuri e la mortalità materna, cosicché essa ha potuto concludere, senza commettere errori manifesti di valutazione, che il divieto di finanziamento dell’aborto ostacolerebbe la capacità dell’Unione di raggiungere l’obiettivo relativo alla riduzione della mortalità materna», affermazione anch’essa discussa in modo argomentato dagli organizzatori della campagna popolare europea. Ora alla rete europea per la protezione dell’embrione umano resta la possibilità di un ricorso.

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