sabato 6 febbraio 2021
Domenica la 43esima Giornata nazionale, protagoniste le donne in attesa e chi le aiuta a capire la loro maternità. Parlano le operatrici dei Cav
L'Angelus di papa Francesco nella Giornata per la Vita del 2018

L'Angelus di papa Francesco nella Giornata per la Vita del 2018 - Siciliani

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La libertà come «strumento per raggiungere il proprio bene e quello degli altri, un bene che è strettamente interconnesso». Il messaggio diffuso dal Consiglio episcopale permanente della Cei per la 43sima giornata nazionale per la Vita, in programma domenica, esorta a riflettere sul valore dell’autentica libertà e sul suo uso corretto al servizio della vita, in un’alleanza feconda «che Dio ha impresso nell’animo umano» per consentirgli di raggiungere la vera felicità.

«Sono convinta che sia fondamentale, oggi più che mai, avere un atteggiamento di ascolto che abbia il profumo della tenerezza», riflette, leggendolo, Manuela Dal Monte, psicologa e psicoterapeuta sistemica che da anni collabora con il Centro aiuto alla vita di Bassano del Grappa offrendo la sua competenza e professionalità alle mamme che si rivolgono ai Cav perché non sanno come comportarsi davanti a una gravidanza inattesa. «Per tutte queste donne – aggiunge – la creatura che portano in grembo costituisce una difficoltà per motivi che vanno dalla paura alla solitudine, all’incertezza del futuro. Ma le difficoltà, insieme, si possono affrontare. E per questo è molto importante che le mamme conoscano la realtà dei Centri di aiuto alla vita. In questi luoghi, infatti, c’è chi è disponibile ad ascoltarle senza giudicare né criticare, anzi, tendendo la mano aperta affinché ogni mamma possa liberamente scegliere se afferrarla».

Bruna Rigoni opera dal 1979 come volontaria e dal 2015 ricopre la carica di presidente dei circa sessanta presìdi territoriali del Movimento per la vita in Veneto. In questi anni, quasi duemila bambini sono venuti al mondo anche grazie al suo incessante impegno: «Non mi sono mai stancata, nemmeno per un attimo, di difendere la vita – spiega –. I nostri centri ci sono per accogliere tutte le mamme e sono aperti alla vita, ma non fanno mai ostruzionismo. E le donne percepiscono che le ammiriamo come persone, che siamo con loro, che stiamo dalla stessa parte. Accogliamo, ascoltiamo, spieghiamo cosa vuol dire essere donna ed essere madre. E il dialogo avviene sempre all’insegna della libertà. La donna che si rivolge a noi deve sapere che ci siamo e che continuiamo a esserci anche se poi la sua scelta fosse quella di non tenere il bambino». Può capitare che una donna abortisca e torni nuovamente nello stesso Cav quando scopre di essere ancora una volta incinta. «Conservo la lettera di una persona che è venuta da noi per due gravidanze diverse – prosegue Bruna –. Dopo avermi descritto l’esperienza della scelta di abortire il primo figlio, conferma quello che mi aveva detto quando è venuta a trovarci di nuovo incinta: “Questa mia seconda creatura nascerà, perché voi del Centro aiuto alla vita mi avete accolto quando non avevo nessuno a cui chiedere aiuto”. E siamo tornati ad accoglierla anche dopo l’aborto».

Orietta Aldegheri, presidente del Movimento per la vita e Centro aiuto alla vita di San Bonifacio, in provincia di Vicenza, è volontaria da oltre trent’anni: «È necessario che una donna sia libera di scegliere cosa fare di una gravidanza indesiderata, ma al tempo stesso non deve negarsi la libertà di scegliere anche di diventare madre. Sono entrata in contatto con centinaia di donne e posso affermare che si può fare un’esperienza di vita e di libertà più grande di quella che porta a interrompere una gravidanza. Il bimbo in arrivo può essere infatti un’opportunità per capire qualcosa di sé, per fare un nuovo esperimento di relazione proprio attraverso di lui: può diventare un’esperienza di crescita per tutta la famiglia».

È così che si arriva a dire sì alla vita per realizzare il compimento di una libertà che può cambiare la storia, come si legge nelle ultime righe del messaggio Cei. Promuovere la cultura della vita a tutti i livelli e tra tutte le generazioni è quindi – ancora – la strada da percorrere. Irene Pivetta ha solo 27 anni, insegna italiano e storia in una scuola superiore. Da liceale partecipò, vincendone un’edizione, al concorso europeo-premio internazionale «Alessio Solinas», promosso dal Movimento per la vita e rivolto a studenti superiori e universitari. Da quel momento ha sposato la causa della vita umana più fragile, si impegna nel Movimento per la vita di Venezia ed è membro della giunta esecutiva nazionale: «La battaglia ideologica intorno alla maternità e all’inizio vita – riflette – è di civiltà e di libertà e deve interessare anche i ragazzi in quanto cittadini e menti pensanti. È dovere di tutti tutelare la vita se la riconosciamo come il bene più prezioso. Durante i miei interventi nelle classi ho notato che è sempre vincente far notare agli studenti che essere pro life è un modo significativo ed entusiasta di vivere la propria stessa vita. Per questo mi piace aiutarli a considerare che la prima vita che deve essere vissuta nel migliore dei modi è la loro». Sempre con un linguaggio positivo e un atteggiamento autentico. «Perché portiamo avanti una causa veramente bella».

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