martedì 14 aprile 2015
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Produrre un numero elevato di embrioni, cercare il segno di una patologia, scartare quelli che ne risultano affetti, selezionare il più adatto e procedere all’impianto. Questa, in estrema sintesi, la procedura della diagnosi genetica preimpianto. Ma la tecnica non fornisce tutte le risposte, lo spiega Domenico Coviello, genetista, direttore del laboratorio di Genetica Umana al Galliera di Genova.Cosa è possibile cercare con la diagnosi genetica preimpianto?Lo screening può fornire risposte precise solo in caso di determinate malattie genetiche classiche ben caratterizzate, in cui si conosce la mutazione presente nei genitori e in cui si sa che la variazione individuata determinerà senza dubbio la malattia come, per esempio, la distrofia di Duchenne. Ma sono sempre più frequenti i casi in cui non c’è una vera consequenzialità tra l’aver trovato una mutazione e il verificarsi effettivo di una malattia.Fin dove si può spingere la domanda di informazioni sul nascituro?Le condizioni di predisposizioni individuabili nel corso di un’analisi genetica sono moltissime, ma non abbiamo la sicurezza del verificarsi dell’evento. Più sono i fattori presi in considerazione nella ricerca di eventuali anomalie e meno si troveranno individui ’sani’, perché tutti siamo geneticamente predisposti a qualcosa. Perché la diagnosi preimpianto non va confusa con la prenatale?Con la prenatale siamo di fronte a un evento già avvenuto (la gravidanza), in cui si cerca di capire quale sia lo stato di salute del feto così da poter intervenire precocemente con una terapia. Nella diagnosi genetica preimpianto si programma a tavolino la fecondazione di un numero elevato di embrioni con lo scopo di selezionarne alcuni a scapito di altri.  Cosa si può dire ai genitori?Lo specialista non può decidere al posto della coppia, ma può contribuire alla corretta informazione per evitare la deriva del "diritto a un figlio sano a tutti i costi" che è un’illusione.
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