venerdì 25 gennaio 2013
​Curare i tumori grazie a molecole prodotte dal nostro organismo: dopo la clamorosa scoperta del 2010, gli studi sul ruolo dei microRna sono arrivati a una svolta. La ricercatrice Roberta Benetti: percorso lungo ma ce la faremo. (Vito Salinaro)
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«Ho scoperto di avere un cancro nel giugno 2011. Operato, lotto tra chemio, che mi devasta, e radio, che mi sconvolge». Fin qui l’ammissione di un paziente come tanti altri. Ma il dottor Giulio Bernardoni, dermatologo mantovano, va oltre e denuncia: «Sono adirato nei confronti di stampa e tv. La ricercatrice Roberta Benetti, dell’Università di Udine, ha fatto, nel 2010, una scoperta da premio Nobel, per curare il cancro con l’aiuto di molecole (miR-335) prodotte dal nostro stesso organismo, senza sottoporsi alle attuali devastanti terapie. Il lavoro è stato pubblicata sulla rivista statunitense Cancer Research». Ma allora, si chiede Bernardoni, perché «nessuno parla di questa scoperta?». Nel giro di due anni, «si disse allora, le case farmaceutiche avrebbero messo a punto un farmaco con relativo brevetto. Cosa è successo? Solo silenzio!». La conclusione dello specialista è amara e sconfortante: «Il cancro è diventato una pandemia. Se non si sconfiggono, con i media, le lobby che fanno guadagni immensi usando la chemio, non si troverà mai la cura per guarire senza uccidere l’anima e il corpo… chi parla è un medico che ha visto, in quest’ultimo anno e mezzo di cura, le peggiori porcherie». Quindi, la preghiera rivolta agli organi di informazione: «Pubblicate articoli in prima pagina su questo studio validissimo! Quello che oggi io patisco può toccare a chiunque, anche ai nostri figli!». In effetti, lo studio di cui parla Bernardoni (finanziato dall’Associazione italiana ricerca sul cancro, coordinato da Benetti e sviluppato con i colleghi dell’ateneo friulano e del Laboratorio nazionale del Consorzio interuniversitario per le Biotecnologie di Area Science Park) ha aperto la strada alla corretta individuazione della capacità di autoproteggersi dai tumori, attraverso la regolazione dei livelli delle piccole molecole microRna prodotte da tutte le cellule dell’organismo umano. La ricerca ha dimostrato per la prima volta che una delle microRna, la miR-335, è direttamente responsabile nel controllo della generazione e delle funzioni dell’oncosoppressore Rb, gene coinvolto nella protezione dello sviluppo dei tumori. I ricercatori, nel 2010, hanno spiegato che l’espressione della miR-335 influisce in modo diretto nel bilanciare il delicato equilibrio di protezione contro lo sviluppo tumorale, perché «intacca, attraverso l’indiretta influenza anche sull’oncosoppressore p53, gli effetti di due fondamentali proteine note per essere deregolate nella genesi dei tumori».Le parole di Bernardoni hanno raggiunto anche la stessa dottoressa Benetti che, dal 2010, si guarda bene dall’alimentare toni trionfalistici smentendo «sensazionalismi giornalistici incontrollabili» che «in primis, non garantiscono il rispetto ai pazienti colpiti da queste terribile malattia». Ma a distanza di oltre due anni da quel traguardo, a che punto è la ricerca? «Abbiamo dato seguito alle scoperte del 2010 – spiega Benetti – indagando anche il ruolo del miR-335 nelle cellule staminali e pubblicando una recentissima relazione in cui troviamo, associato a questo miRna, un nuovo "percorso" che sembra anche attivo, al momento, soprattutto nei tumori di origine germinale. Speriamo davvero di continuare nella direzione giusta ma non siamo al punto di poter promettere nulla». Insomma, «in termini di applicabilità terapeutica, lo studio è ancora lontano dalla clinica e nessuno di noi ricercatori può affermare che potrà sostituire la chemioterapia». Anche perché i passi per valutare l’effettiva portata della scoperta del 2010 richiedono molto tempo e una sperimentazione, attualmente in atto, sui topi. «Un aspetto critico per i tumori – spiega Benetti – è al momento la loro classificazione e l’identificazione attraverso biomarcatori specifici dei casi a elevato rischio»; un requisito fondamentale, questo, «per poter migliorare le strategie di cura e per guidare le scelte terapeutiche. Il nostro lavoro cerca di fornire un contributo di base proprio in questo ambito. Stiamo cercando di chiarire l’importanza di determinati componenti molecolari, per capire (in ottica ambiziosa) se essi possano risultare associati all’andamento della malattia e, quindi, per poter fornire interessanti futuri bersagli terapeutici. Vogliamo dare speranza alla gente – è l’auspicio della ricercatrice originaria di Monfalcone – e per questo le forze di tutti noi ricercatori, di cui la mia è parte milionesima, sono sempre unite e stimolate, ma vogliamo anche evitare false illusioni».
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