martedì 25 febbraio 2014
La proposta di elargire 250 euro mensili, per un anno e mezzo, alle mamme in difficoltà economiche che rinunciano all'aborto scatena l'ira della Cgil.
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Neanche il tempo di avviare un dibattito sul "sostegno alla maternità e alla natalità" finalizzato anche ad aiutare le donne in difficoltà economica che rinunciano ad abortire, ed ecco che la Cgil nazionale grida allo scandalo bollando una discussione di una commissione consiliare della Regione Basilicata come «vergognosa». Vergognosa perché la proposta di legge in questione conteneva l’adozione di un sostegno da 250 euro mensili, per 18 mesi, al fine di «tutelare e sostenere la maternità con un aiuto concreto alle tante donne che, trovandosi in difficoltà economica si vedono costrette a rinunciare al proprio bambino».Tuttavia, come pacatamente afferma il presidente della commissione consiliare Politiche sociali della Regione Basilicata, Luigi Bradascio, sarebbe bastata «una breve verifica per sgonfiare un caso che non c’è». Perché è vero, dice Bradascio, «che la Basilicata sta mettendo al centro del suo dibattito politico il tema del sostegno alle fasce deboli, e dunque anche alle donne in difficoltà, e sta valutando progetti contro la denatalità», ma la bozza giunta in commissione, redatta dal consigliere del Gruppo Misto Aurelio Pace, quella cioè "incriminata" perché giudicata dal maggiore sindacato italiano troppo ideologicamente vicina a posizioni inaccettabili e in contrasto alla stessa legge 194, non può nemmeno essere "imputata" perché l’autore della stessa, «recependo le considerazioni emerse dal primo dibattito, ne sta realizzando una nuova che presto torneremo a valutare e a discutere». «Nessuno di noi – sottolinea Bradascio – ha mai pensato di comprare le scelte delle donne». Insomma, il vecchio testo non doveva neanche uscire dall’aula, non essendo interessato da alcun voto.Ma la solerzia di un consigliere regionale vicino alle posizioni della Cgil, che ha invece preferito diffonderlo, ha favorito il violento attacco da parte di Loredana Taddei, responsabile delle "Politiche di genere" del sindacato. «Una proposta vergognosa, l’ennesimo attacco mascherato alla legge 194», tuona la sindacalista, contrariata da una «discussione che parte dalla premessa di una definizione dell’aborto come "causa di calo demografico" e "prima causa di morte in Europa"». Dunque, osserva la sindacalista, la Regione Basilicata, tra l’altro storicamente guidata dal centrosinistra, «si propone di tutelare le donne che rinunciano ad abortire, affidando il loro destino ai Centri per la vita, che dovranno studiare un "progetto di aiuto personalizzato". Non si è sentita invece la necessità di un fondo per la vita per le centinaia di donne lucane, costrette ad abbandonare il lavoro, dopo la nascita del primo figlio, per mancanza di servizi», o di «sostenere le tante famiglie indigenti che non riescono a dar da mangiare ai propri figli». Una reazione esagerata che ha contribuito a dividere i consiglieri. Tanto che il neogovernatore lucano Marcello Pittella è intervenuto per gettare acqua sul fuoco e chiedere un più «approfondito confronto» con le diverse espressioni e sensibilità della regione – «il mondo femminile, l’associazionismo, la sanità, tutte le componenti sociali della comunità» –, prima di adottare provvedimenti che dovranno tener conto, e quindi riassumere, gli elementi emersi da un ampio «dibattito trasversale».Una impostazione, quest’ultima, condivisa dall’episcopato lucano che, per bocca dell’arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo e presidente della Conferenza episcopale di Basilicata, Agostino Superbo, evidenzia come sia «necessario, da parte della Regione, spendersi senza titubanze, sin dall’inizio della nuova legislatura, in favore di politiche sociali che favoriscano misure inclusive per le fasce meno agiate, soprattutto nell’attuale difficile contesto socio-economico che interessa il nostro territorio». Tra queste politiche, i vescovi auspicano «l’adozione di azioni mirate a sostenere la vita nascente».
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