mercoledì 21 marzo 2018
Sostegno ridotto, e Lodino Marton, 65 anni, malato da 5, chiede di non essere intubato. La sua morte dopo una crisi respiratoria, applicando non la legge sulle Dat ma quella sulle cure palliative.
Una manifestazione di malati di Sla per chiedere maggiore assistenza a loro e alle famiglie (Ansa)

Una manifestazione di malati di Sla per chiedere maggiore assistenza a loro e alle famiglie (Ansa)

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«I malati di Sla e con altre malattie neurodegenerative sono in progressivo aumento. I costi dell’assistenza aumentano e le disponibilità del pubblico calano. Ma la gran parte delle famiglie non è in grado di integrare e di pagare due badanti al giorno». È un grido d’allarme quello che lancia Elisabetta Pedrazzoli, del Centro di riabilitazione di Padova, gestito dall’Aism. 80 assistiti in questa sede, 70 in quella di Rosà (Vicenza).

È lei che ha assistito Lodino Marton, 65 anni, imprenditore della ristorazione, morto all’hospice del Centro Bonora di Camposampiero, da 5 anni colpito dalla Sclerosi laterale amiotrofica (Sla). La figlia Marianna ha confermato che suo padre voleva andare in Svizzera «per poter dominare il suo male e decidere lui come e quando porre fine alla sua vita». Ma i tempi lunghi e i costi (3mila euro solo per inoltrare la richiesta al medico) lo hanno fatto desistere.

Saputo dell’entrata in vigore il 31 gennaio della legge sul biotestamento Marton ha chiesto di poter concludere la sua vita. Ricoverato all’hospice «Il Melograno» dal 1° febbraio, all’inizio di marzo il paziente ha presentato attraverso la famiglia il testamento biologico redatto insieme all’associazione svizzera Dignitas e si è raccomandato di non essere intubato. Dopo due crisi respiratorie a distanza di qualche giorno, la moglie Lidia e la figlia hanno concordato con i medici la sedazione palliativa (già possibile con la legge 38 del 2010). Sabato sera è arrivato lo stato di incoscienza profonda indotta dai farmaci e lunedì è deceduto nel sonno. Alla luce dei fatti, pare dunque improprio chiamare in causa l’applicazione della legge sulle Dat.

«Lodino era un uomo dinamico, amava la vita, faceva l’artista, diceva che non accettava un’esistenza priva di dignità» racconta la dottoressa Pedrazzoli. «Per mancanza di fondi gli hanno tagliato la terapia che faceva all’Aism su indicazione della clinica neurologica di Padova – come ha riferito la figlia Marianna a Il Mattino di Padova – da due sedute alla settimana a una, poi uno stacco più lungo. Quando papà è rimasto allettato e venivano a fargliele a casa, da due volte sono scesi a una. Ci hanno detto "scusate, non abbiamo più i fondi per darle a tutti". Così per integrare pagavamo una fisioterapista. Abbiamo avuto problemi anche con la fornitura di Thc sia per i tempi lunghi per ottenerla dall’ospedale che per la qualità, che variava spesso. Ci volevano settimane per la richiesta ma non si può andare per altri canali. La boccetta di preparato copriva il fabbisogno di due settimane: le altre le compravamo noi, 100 euro la boccetta.

Problemi anche quando papà doveva andare alle visite: l’ambulanza, spesso era a pagamento, 800 euro, con mio padre che si contorceva per i dolori. Noi siamo fortunati perché abbiamo potuto sostenere le spese. E quelli che non possono?». «Ecco il problema – ammette Pedrazzoli –. La Regione Veneto è tra quelle, in Italia, che garantiscono un sostegno importante. Ma non sufficiente perché l’aiuto che passa all’Aism, ad esempio, non è in grado di coprire tutte le prestazioni, che si moltiplicano, come sono in aumento i pazienti». L’Azienda sanitaria di Padova, dal canto suo, precisa che «non abbiamo mai lasciato nessun malato, e in particolare quelli di Sla, senza le cure necessarie». I dirigenti, confermando tutta la loro vicinanza alla famiglia del paziente, verificheranno quanto è accaduto nella specifica situazione.


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