martedì 21 settembre 2021
Domenica 26 settembre i cittadini della piccola Repubblica sono chiamati a decidere se ampliare quasi senza limite il ricorso all'aborto in terra sammarinese, oggi soggetto a vincoli stringenti
Una manifestazione del Comitato Uno di noi per il no al referendum sammarinese sull'aborto

Una manifestazione del Comitato Uno di noi per il no al referendum sammarinese sull'aborto

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Domenica 26 settembre a San Marino i cittadini sono chiamati alle urne per esprimersi sul referendum abrogativo di una legge che oggi vieta quasi del tutto la pratica abortiva. Il quesito chiede ai sammarinesi se vogliono o meno «che sia consentito alla donna di interrompere volontariamente la gravidanza entro la 12esima settimana di gestazione, e anche successivamente se vi sia il pericolo per la vita della donna o se vi siano anomalie e malformazioni del feto che comportino grave rischio per la salute fisica o psicologica della donna». L’Unione Donne Sammarinesi, promotrice del referendum, sta conducendo una massiccia campagna affinché il referendum veda l’affermazione del sì: sul Titano verrebbe consentita l’interruzione della gravidanza anche oltre le 12 settimane, con rischi sia per la madre che per il nascituro.

Il Comitato per il No

Il Comitato «Uno di noi», che sostiene il no, ha puntato sul far riflettere la gente portando in incontri pubblici testimonianze di donne con storie significative. È il caso di Serena, insieme a Rocco: nella diversità speciale dei loro figli hanno deciso di accogliere quello che il mondo voleva fargli rigettare: bambini affetti da trisomia 21. Alina invece difende «le donne che hanno sempre la forza di andare avanti e di amare i loro bambini anche quando i padri non sono presenti e abbandonano entrambi: madre e figli. Occorre però rifuggire la logica dello scarto facendoci prossimi ai bisogni di chi ci è vicino».


Antonella Mularoni – tra i leader del Comitato «Uno di noi», notaio, già giudice della Corte europea dei diritti umani e capitano reggente della Repubblica nel 2013 – osserva che «chi non sta a San Marino sarà probabilmente incuriosito dal nostro dibattito: in Italia la legge 194 ha più di quarant’anni e l’aborto è accessibile, benché il bilancio complessivo sia quello di un genocidio con 6 milioni di aborti a partire dal varo della legge. San Marino oggi tutela la vita e, considerando il nascituro una persona dal concepimento, proibisce l’interruzione della gravidanza, con l’eccezione del pericolo per la vita o di un danno grave per la madre. Il nostro ordinamento ritiene infatti che l’essere umano vada tutelato perché non ancora in grado di difendere i suoi diritti e che abbia il diritto di venire alla luce anche se qualcuno può considerarlo non perfetto». Va poi ricordato che «l’aborto lascia in moltissime donne segni psicologici indelebili. Vogliamo allora riconoscere che l’interruzione volontaria non è un bene, né per la donna né per la società? La comunità sammarinese oggi è ancora un modello di attenzione ai soggetti più fragili. È inaccettabile che ci siano donne che non portano avanti la gravidanza perché prive di risorse economiche. Il legislatore si impegni piuttosto su questo piano, a maggior ragione quando anche San Marino soffre di denatalità».


La voce della Diocesi

«La società e il legislatore hanno il dovere di tutelare e sostenere sia la gestante sia il nascituro – si legge sul periodico diocesano "Il Montefeltro" in un articolo firmato da don Mirco Cesarini, giovane parroco a Novafeltria –. È sbagliato scegliere tra la donna e il bambino. Dopo vent’anni di attività con la Caritas diocesana, ci si è accorti che il motivo principale per cui una donna o una coppia rinuncia a un figlio è di ordine economico. Un sussidio sostanzioso e continuativo, insieme a sostegni per la famiglia con figli a carico, può prevenire la scelta dell’aborto».


Il pericolo: aggravare le ferite sociali

Oggi le donne sammarinesi che vogliono abortire (poche, a quanto si sa) vanno negli ospedali dell’Emilia Romagna. Perché allora non adeguare la legge locale a quella italiana? «Perché il sì al referendum produrrebbe l’effetto di compromettere sempre di più le relazioni nelle coppie – risponde Adolfo Morganti, psicoterapeuta, del Comitato Uno di noi –, escludendo l’uomo dalla decisione sul figlio e lasciando sola la donna a farsi carico di un atto mai esente da conseguenze psichiche». Il fronte del sì parla di «donne felici di aver abortito», ma «evidentemente non hanno mai fatto un mestiere di ascolto. Questo è un referendum ideologico».

Il vescovo Turazzi: l’ora della consapevolezza e della responsabilità

«Molti cittadini, non solo i cattolici, sentono dal più profondo del cuore la gravità della decisione». Sono parole proporzionate al momento e al tema oggetto della scelta quelle del vescovo di San Marino-Montefeltro Andrea Turazzi alla vigilia del voto. «Il "no" a questa proposta di legge che avanza – aggiunge – è dettato non solo dalle nostre convinzioni di fede, che non sono in discussione, ma anche da motivazioni di ragione e di giustizia, quindi, dobbiamo fare tutta la nostra parte. Il "no" non dice tutta la verità, nel senso che quello che noi intendiamo, in verità, è un "sì": un "sì" pieno alla vita. Ci mettiamo dalla parte della creatura che ha appena iniziato la sua avventura. Ogni uomo ha diritto a vivere. Poi ci saranno altri diritti, ma questo è previo. La difesa del nascituro è molto più della difesa di un principio, perché è l’accoglienza di una persona alla mensa comune. Non meno importante – aggiunge monsignor Turazzi – è il punto di vista di una mamma, sia quella raggiante per l’arrivo della nuova creatura, ma soprattutto quella preoccupata, quella che è in ansia a causa delle difficoltà, a cui assicurare tutto l’accompagnamento, la cura, la tutela. La donna porta il "peso" e la fatica della maternità, ma il papà non è mai da dimenticare per la sua responsabilità e consapevolezza. Fondamentale in questa circostanza è il punto di vista della società. Talvolta si dice, quasi tirandosi fuori dalla mischia: "Ognuno deve seguire la propria coscienza". È vero, ma detta così sa molto di non responsabilità verso la società. La società, quella sammarinese, ma anche quella italiana e quella europea, è messa con le spalle al muro e deve rispondere a domande incalzanti: "Che cosa dici di te stessa? Quali sono i tuoi valori fondanti? Come ti prendi cura della vita nascente?". Entrano in ballo discorsi di educazione, di applicazione delle scienze alla salute e soprattutto di solidarietà sociale. Talvolta – conclude il vescovo di San Marino-Montefeltro – mi sono scoperto nell’atteggiamento di chi dice: "Anche questa volta ce l’abbiamo fatta". Ma ora penso che sia un’opportunità grande per un sussulto di consapevolezza, di responsabilità, un momento favorevole per tutta la comunità. Sarebbe davvero triste alzare le spalle o rinunciare a prendere posizione e a partecipare. Sono contento che sempre più il fermo "no" all’aborto sia accompagnato da parole e gesti di attenzione alla donna, anche alla donna che lo ha vissuto. Abbiamo una grande responsabilità verso il nostro popolo, quella di vivere con lui questo momento. Il popolo ha bisogno di chiarezza oltre che di un sussulto partecipativo. Bisogna vegliare e chiedere un altro sguardo, un altro lessico, altra consapevolezza di questa tragedia che è sempre vita spezzata. Quindi chiarezza, ma anche correttezza, affinchè non diventi una crociata colpevolizzante. Puntare molto sulla dimensione costruttiva: la bellezza della vita, la buona notizia della vita. Presupporre in tutti questa sensibilità da far emergere».

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