giovedì 3 luglio 2014
Massimo Antonelli, presidente nazionale della Siaarti: «Nelle rianimazioni italiane si applica da sempre la desistenza terapeutica e non l'eutanasia, chi dice il contrario dice falsità»
La Francia deve riflettere su un sondino
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I segni che evidenziano un’acuta ripresa del dibattito sul fine vita ci sono tutti: l’istituzione dei registri dei testamento biologici al Comune di Roma, le polemiche sul caso Lambert in Francia dopo la sentenza che ha autorizzato il distacco del sondino al paziente in stato vegetativo, il verdetto che ha assolto a Pau il medico Bonnemaison dopo la morte di alcuni suoi pazienti dei quali ha accelerato la morte, l’insistenza con cui in Italia si propone l’eutanasia per legge, le provocazioni sul presunto ruolo attivo dei medici nell’accompagnare i pazienti alla morte. È importante e urgente fare chiarezza su questi temi, sia in previsione di una ripresa della discussione parlamentare in merito sia in relazione alla consumata tendenza al bypass legislativo attuato per sentenza. La confusione, artificiosamente alimentata, rischia infatti di far perdere di vista i fondamenti dell’intervento medico. Per esempio, relativamente alle dichiarazioni eventualmente rilasciate in un registro comunale, come si deve comportare il rianimatore? «È il medico che valuta la situazione in virtù delle caratteristiche del paziente e tenendo conto delle sue condizioni, per non iniziare trattamenti sproporzionati e incongrui», spiega Massimo Antonelli, presidente nazionale della Siaarti, la Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva e direttore dell’Istituto di Anestesiologia e rianimazione del Policlinico Gemelli di Roma. «E questo è un comportamento coerente con l’etica, il Codice deontologico e la dottrina. Il capitolo 5 del Catechismo della Chiesa cattolica è molto chiaro laddove dice che "l’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire"». Eppure, rianimatori e anestesisti sono stati tirati in ballo recentemente per giustificare pratiche eutanasiche, azioni da cui invece, come conferma Antonelli, la categoria si smarca con decisione: «Per varie forme di integralismo si tende purtroppo a un grave e ripetuto fraintendimento terminologico. Ricordiamo che l’eutanasia è un atto volontario e attivo che non va assolutamente eseguito. La sua definizione emerge con cogente chiarezza in un documento pubblicato nel 2004 dall’Associazione europea per le cure palliative, ripreso dal sito della Società italiana: «L’azione di uccidere intenzionalmente una persona, effettuata da un medico, per mezzo della somministrazione di farmaci, assecondando la richiesta volontaria e consapevole della persona stessa». Per il presidente Siaarti è necessario pertanto riaffermare un confine essenziale e invalicabile: «L’eutanasia è attiva per definizione, e va tenuta ben distinta dalla desistenza terapeutica che si realizza quando la cura risulta futile e sproporzionata rispetto alla patologia. È il medico che decide se intervenire o non intervenire, se intraprendere o meno una terapia o un trattamento valutandone l’appropriatezza o la futilità. Nelle rianimazioni italiane, nessuna esclusa, si applica da sempre la desistenza terapeutica e non l’eutanasia: chi dice il contrario afferma una falsità». Quando si parla di fine vita, il rischio è sempre quello dell’eccessivo appiattimento del dibattito ridotto a un’opposizione faziosa e sterile. «Troppe persone parlano di questi argomenti in linea del tutto teorica, quando invece servono prudenza e rispetto, sgombrando il campo da equivoci pericolosi» chiarisce Massimo Antonelli. «Per questo, come Siaarti, abbiamo promosso un dibattito di alto livello come il Cortile dei Gentili, in cui hanno avuto modo di confrontarsi voci diverse senza scadere nell’estremismo». Non solo: per costruire percorsi clinico-assistenziali alternativi a quelli intensivi, proporzionati alla prognosi e finalizzati al comfort del paziente, è stato anche elaborato un documento d’indirizzo per la pianificazione delle scelte di cura denominato «Grandi insufficienze d’organo "end stage": cure intensive o cure palliative?». Il documento, condiviso dagli specialisti coinvolti (intensivisti, palliativisti, cardiologi, pneumologi, neurologi, nefrologi, gastroenterologi, medici d’urgenza, medici di medicina generale e infermieri), è stato sottoscritto da nove società scientifiche. Alla base di ogni valutazione resta l’alleanza tra medico e paziente, senza strumentalizzazioni.
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