giovedì 19 maggio 2022
Marchigiano, 46 anni, paralizzato da 18. Il suo caso si aggiunge a quelli di "Mario" e "Antonio". L'organo consultivo della sanità regionale: ci sono le condizioni previste della Corte costituzionale
Fabio Ridolfi nel letto della sua casa

Fabio Ridolfi nel letto della sua casa - Le immagini sono state diffuse dall'Associazione Luca Coscioni attraverso il suo sito

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Fabio Ridolfi ha 46 anni, abita a Fermignano, nelle Marche. Da 18 anni è affetto da tetraparesi, causata dalla rottura dell’arteria basilare, e costretto all’immobilità. Ha chiesto di porre fine alla sua situazione, che considera ormai insostenibile, e l’Associazione radicale Luca Coscioni – che si batte per legalizzare l’eutanasia – ha sostenuto il suo caso come già altri due analoghi, entrambi nelle Marche: "Mario" e "Antonio", nomi che coprono quelli reali per motivi di privacy, al contrario di quel che si è scelto di fare in questo caso.

Interpellato dall’Azienda sanitaria (Asur) Marche per verificare la sussistenza delle condizioni per l’accesso alla «morte medicalmente assistita» secondo quanto previsto dalla Corte costituzionale nel caso dj Fabo – seguito dalla stessa associazione radicale – il Comitato etico dell’Asur Marche ora afferma nel suo «parere preliminare» che «sono stati proposti i piani di cura integrativi che il paziente ha rifiutato», «si è accertato che il soggetto è tenuto in vita grazie a trattamenti di sostegno vitale ed è affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili» ed «è risultato essere in grado di prendere decisioni libere e consapevoli». Secondo la legge 219 del 2017 sarebbe nelle condizioni per sospendere i trattamenti terapeutici – a cominciare dalla nutrizione assistita, secondo ciò che quella discussa legge dispone –, essere sedato e arrivare a una morte naturale.

Ma come nel caso di dj Fabo l’iniziativa dell’Associazione Coscioni punta a ottenere il primo caso di suicidio assistito in Italia anticipando il varo di una legge che in questo modo si intende condizionare e che – alla luce dei fatti – pare sempre più necessaria per evitare che a scriverla siano tribunali, Asl, comitati etici e realtà associative pro-eutanasia. La bozza in discussione al Senato, approvata alla Camera, contiene ancora alcune ambiguità che possono essere sciolte lavorando di comune accordo per evitare che siano poi casi come quello – drammatico – di Fabio a dettare le regole. Si tratta, come ha stabilito la Corte, di tutelare la vita fragile lasciando ai casi più gravi – ben circoscritti dai giudici costituzionali, a scanso di abusi e forzature – la libertà di essere accompagnati alla morte quando la situazione si fa intollerabile ed è stata anche esperita la strada delle cure palliative. Nel caso di Ridolfi queste ultime sono state semplicemente proposte. La voce dei pazienti va sempre ascoltata: «Ogni giorno – scrive il paziente marchigiano con puntatore oculare sullo schermo del pc – la mia condizione diventa sempre più insostenibile». Una domanda di morte, o di vita?
La formalizzazione della sua richiesta si aggiunge a quella di Mario e Antonio, e la sua procedura con ogni probabilità ricalcherà le precedenti. Mario, infatti, dopo una lunga battaglia legale, e un’altrettanta lunga attesa, ha ottenuto il parere positivo del Comitato etico regionale sulla sostanza da utilizzare, sulla quantità e modalità della somministrazione. Antonio, tetraplegico da otto anni, attende invece da venti mesi l’accesso all’aiuto assistito. Come nei due casi precedenti, Fabio si era rivolto all’Asur, che aveva attivato le verifiche previste dalla sentenza della Consulta sottoponendo il paziente a tutte le visite previste. La relazione medica è stata poi inviata al Comitato etico, che – aveva lamentato l’Associazione Coscioni il giorno prima che il parere fosse reso pubblico – non aveva ancora fatto sapere nulla, né sulle sue condizioni né sulle modalità necessarie a poter procedere al suicidio medicalmente assistito.

Resta da chiarire la procedura della morte assistita: il farmaco, la dose, le modalità di autosomministrazione, il personale che deve assistere, i provvedimenti se il paziente non dovesse morire subito. Tutti elementi decisivi, che senza una legge restano incerti. E sui quali l’Azienda sanitaria potrebbe opporre il rifiuto di procedere in mancanza di una normativa nazionale indispensabile quando si parla di vita e di morte. Resta la sofferenza estrema di un uomo alla quale dare una risposta: che lo Stato non ha mai messo in discussione fosse per la vita. Vorrà venir meno al suo patto costituzionale con i cittadini ed erogare la morte al di fuori di un dettato legislativo che la stessa Corte costituzionale ha indicato ormai come inderogabile?

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