giovedì 9 maggio 2024
La situazione di insostenibile sovraccarico nella quale si sentono molti professionisti della salute italiani è responsabilità delle condizioni di lavoro ma non del rapporto con i malati. Ecco i dati
Medici in “burnout”? La colpa non è dei pazienti
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L’alleanza medico-paziente è una realtà concreta più che mai. Lo conferma la ricerca dell’area sanità e salute di Istud, una delle più importanti business school italiane, rivelando un aspetto molto importante: secondo l’indagine “La vita dentro le organizzazioni sanitarie”, il rischio di burnout è quasi nullo nella relazione tra professionisti sanitari e pazienti perché prevale fiducia reciproca nel rapporto di cura. Il rischio di burnout cresce invece per i carichi di lavoro, per le risorse scarse e soprattutto per l’assenza di “riconoscimento” del lavoro svolto da parte del management. Insomma, se un medico su due è in “sovraccarico” non è certo colpa dei pazienti.

Lo studio, indipendente da associazioni e ordini, è quantitativo e narrativo. Tra dicembre 2023 e gennaio 2024 sono state raccolte le voci e i punti di vista di 176 professionisti sanitari da tutta Italia, con un’età media di 54 anni. Agli intervistati è stato sottoposto il test del burnout predisposto da Cristina Maslach nel 1981. Le risposte sono arrivate in prevalenza delle regioni del Nord (65,9%), che hanno manifestato maggiore apertura.

Le risposte del test, iniziando dal “mi sento...”, ci dicono che il disagio totale è presente nel 43% delle narrazioni interpretate. Alcuni vissuti: “Poco valorizzata per le competenze acquisite”; “frustrata”; “sottoutilizzato”; “sottopagato per le responsabilità”; “poco o nulla tutelato”.

Esaminando il lato cognitivo, e quindi “penso”, il disagio si abbassa al 36%. Per esempio, penso che “il servizio da me svolto dovrebbe avere maggiore integrazione con gli altri specialisti perché si possa parlare davvero di cura”.

Nella narrazione del “voglio...” il disagio totale si abbassa al 10%, ma è alto il 45% del disagio parziale. Ad esempio, voglio “possibilmente essere d’aiuto”, “voglio resistere fino alla pensione”. Ma all’invito narrativo “le persone che curo...” il disagio totale è solo del 5% con l’agio totale al 35% e il parziale al 15%, dati che insieme raggiungono il 50%. Alcuni vissuti: “Devo gratitudine a loro perché i pazienti sono sempre maestri”; “ognuno di loro è un mondo, unico, fragile e meraviglioso” e “percepisco la loro gratitudine”.

«Questa ricerca evidenzia come nella sanità ci sia scarsità di risorse, di investimenti e di incentivazione da parte del management – commenta Maria Giulia Marini, direttrice scientifica dell’Area Sanità e Salute di Istud –. Occorre fare formazione ai dirigenti sulle soft skills, come richiesto dalle linee guida dell’Oms del 2022. È necessario, inoltre, investire nei giovani e potenziare le cure territoriali, riconoscere il ruolo degli infermieri e fare una seria prevenzione sugli stili di vita».

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