giovedì 13 giugno 2019
Respinto il ricorso del Tribunale di Pavia per il quale sarebbe eccessivo il margine concesso dalla legge 219 all'amministratore di sostegno, che si troverebbe ad avere potere di vita e di morte.
Una seduta della Corte Costituzionale

Una seduta della Corte Costituzionale - ANSA

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Il giudice tutelare, in base alla legge 219 sul biotestamento, non ha potere di vita e di morte sulla persona sottoposta alla sua cura. Per questo motivo sono «non fondati» i dubbi sulla legittimità costituzionale della norma. Lo ha stabilito la Consulta, attraverso la sentenza 144/2019 depositata nella mattinata del 13 giugno. A sollevare il caso era stato un giudice tutelare di Pavia, che – dovendo attribuire la rappresentanza sanitaria esclusiva a favore di una persona in stato vegetativo – temeva che la norma sul fine vita approvata due anni fa attribuisse all'amministratore di sostegno un arbitrario potere di decidere il rifiuto dei trattamenti vitali (eventualità che sarebbe in palese contrasto con la nostra Carta fondamentale), una decisione che avrebbe evidentemente come conseguenza la morte del paziente. I giudici costituzionali, invece, hanno ritenuto tale «presupposto interpretativo» erroneo, spiegando che «l'amministrazione di sostegno è un istituto duttile», suscettibile «di essere plasmato dal giudice sulla necessità del beneficiario», avente a oggetto le «sole categorie di atti al cui compimento» l'amministratore «sia ritenuto idoneo». Sul presupposto che, a differenza dei «tradizionali istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione», con quello dell'amministrazione di sostegno il legislatore «ha inteso limitare nella minore misura possibile la capacità di agire della persona disabile». Resta però aperto il problema posto dal giudice tutelare di Pavia: quando la rappresentanza in ambito sanitario viene conferita in via esclusiva, l'amministratore può decidere la rimozione dei sostegni vitali. Senza nessun controllo giudiziale, al netto di un ricorso da parte del medico. La legge sulle Dat (articolo 3, comma 5) prevede infatti che «nel caso in cui l'amministratore di sostegno, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (Dat), rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare». Evidente che se il disaccordo tra amministratore e medico non c’è si può procedere col distacco dei supporti vitali.

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