martedì 9 aprile 2024
Il punto sulle conoscenze più recenti a proposito di una malattia che negli ultimi trent'anni ha visto raddoppiare i pazienti che ne sono affetti. Con una progressione legata all'aumento dell'età
Prevenzione, nuove terapie, dieta...: cosa sappiamo oggi del Parkinson
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Una popolazione più anziana è una popolazione più bisognosa di cure. E la malattia di Parkinson non fa eccezione: è fra le più emergenti e necessita di attenzioni da parte di società e ricerca. La Giornata mondiale del Parkinson (11 aprile), giorno della nascita di James Parkinson, riaccende i riflettori sui passi compiuti dalla ricerca, per migliorare la qualità della vita delle persone e dei loro familiari.

Non solo anziani
Solo negli ultimi trent’anni, le stime in Italia sul numero dei pazienti sono quasi raddoppiate: dai 230mila nel 1990 ai 400mila di oggi. I dati però vanno osservati bene perché, nonostante sia considerata una patologia della terza età, 25mila italiani presentano un esordio sotto i 40 anni. «Un numero più alto delle persone affette da Sclerosi multipla», spiega il professor Gianni Pezzoli, neurologo, presidente dell’Associazione italiana parkinsoniani e della Fondazione Grigioni per il morbo di Parkinson, già direttore del Centro dedicato del Gaetano Pini-Cto, fra i più grandi al mondo, con 40mila casi registrati in database.

La prevenzione
Lo scorso anno questo gruppo ha mostrato, con uno studio retrospettivo che ha coinvolto oltre 8mila pazienti visitati al Centro tra il 2010 e il 2019, la capacità dei farmaci antidiabetici (per esempio la metformina) di prevenire la malattia. «Sembra – afferma il professore – che le due patologie abbiano una radice comune. In particolare, i medicinali antidiabetici sposterebbero, dai dati del nostro studio, di circa sette anni l’esordio del Parkinson. La malattia in genere viene divisa in tre fasi: una iniziale, in cui c’è un buon compenso dei sintomi, una intermedia, quando, in genere, la risposta alla terapia farmacologica è meno efficace, ed infine una fase di scompenso, che talvolta riduce molto la qualità di vita della persona».

I nuovi approcci
Fra le nuove terapie farmacologiche, alcune sono già in commercio e potrebbero risultare utili. «Si tratta di terapie complesse, come l'infusione sottocutanea continua di levodopa, in uso da alcune settimane», ricorda il professor Pezzoli. Poi ci sono gli approcci neurochirurgici, con i nuovi stimolatori adattativi, per ora utilizzati in Europa nel solo contesto di ricerca, che prevedono una modulazione della corrente in base al segnale cerebrale registrato, la stimolazione viene quindi erogata in base alle fluttuazioni di questi segnali che rispecchiano i sintomi del paziente e le sue attività quotidiane. Verso queste tecniche di stimolazione le aspettative da parte dei pazienti sono alte, ma bisogna ricordare che sono terapie utilizzabili in una piccola parte dei pazienti non applicabile per tutti. «La stimolazione cerebrale profonda – aggiunge – prevede un intervento chirurgico di impianto di elettrodi generalmente posizionati in una regione cerebrale, chiamata nucleo subtalamico, e di un generatore di impulsi elettrici posto sottocute, di solito a livello della clavicola. Non è un’operazione semplice, anzi, si tratta di un intervento molto complesso per cui occorre rivolgersi solo a centri selezionati. È consigliato per il trattamento della malattia di Parkinson con fluttuazioni motorie e discinesie, ma in genere non sopra i 60 anni di età». Lo sforzo finora prodotto nei laboratori comunque è notevole e l’Italia fa la sua parte. «Mentre 15 anni fa – rammenta l’esperto –, avevamo poche armi per trattare un paziente complesso, oggi abbiamo una serie di terapie delle quali quella farmacologica è solo una, ed è affiancata da fisioterapia, logoterapia, psicoterapia e nutrizione, un tempo considerate minori ma che adesso hanno preso piede perché si è capito quanto concorrano a essere efficaci».

La dieta e i prossimi passi
Negli ultimi anni si stanno studiando anche nel Parkinson gli effetti della dieta chetogenica, ossia un trattamento dietetico a forte restrizione calorica con un consumo ridotto di grassi e carboidrati. In generale, però, per la condotta a tavola, gli esperti suggeriscono di assumere la levodopa, il farmaco principale, 20 minuti prima del pasto e di assumere solo a cena le proteine, che possono ridurre l’assorbimento. «Uno dei parametri per l’assorbimento del farmaco – spiega – è lo svuotamento rapido gastrico. Queste nozioni di farmacocinetica devono essere spiegate al paziente in modo chiaro per evitare l’effetto di fine dose pomeridiano. Per questo motivo, viene raccomandato di mangiare le proteine col pasto serale. Ci sono molte informazioni che il paziente e il caregiver devono conoscere ed è la ragione per cui è nata l’Associazione italiana parkinsoniani, per diffondere il più possibile le conoscenze (www.parkinson.it)».

Pezzoli anticipa che è in preparazione proprio nel Centro milanese uno studio sull’efficacia di un farmaco antidiabetico sulla progressione della malattia, che coinvolgerà i pazienti all’esordio e le persone con un rischio più alto di ammalarsi, che presentano i cosiddetti sintomi prodromici, quali il sonno agitato, la riduzione o la perdita dell’olfatto, la stipsi e la lieve depressione. «Sono sintomi generici – conclude – ma tutti assieme si possono manifestare pure nel 30-50% dei casi. Se identificassimo i pazienti con anticipo, potremmo in futuro usare farmaci che si dimostreranno capaci di rallentare la malattia o addirittura evitarla».

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