martedì 26 marzo 2024
Per il quarto anno il Policlinico Gemelli di Roma è il primo ospedale italiano secondo la classifica stilata dal magazine americano Newsweek. Sfide, eccellenze e progetti: parla il direttore generale
Marco Elefanti

Marco Elefanti - (C) Adnkronos - da Ufficio stampa Università Cattolica

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Pazienti sempre al centro, attenzione alle nuove tecnologie e alla sostenibilità, impegno nei confronti dei giovani. Il direttore generale della Fondazione Policlinico Agostino Gemelli, Marco Elefanti, non nasconde la difficoltà di rendere possibile tutto ciò in un contesto che cambia. La volontà, però, resta quella di continuare nel solco dell’attenzione all’umano che fu di padre Agostino Gemelli.
Per il quarto anno il Gemelli è il primo ospedale d’Italia e 37esimo nel mondo. Come lo vivete?
La vera grande responsabilità è quotidiana, ed è nei confronti della miriade di pazienti che sono nelle nostre corsie. Per noi la coordinata è una sola e, se vogliamo, molto più pressante di questo riconoscimento che comunque è importantissimo, non lo nego. La nostra è una storia di assistenza e di orientamento al paziente, e questo ci porta a lavorare per trovare soluzioni che garantiscano cure di qualità e di integrazione di competenze. Questi sono gli aspetti di vero valore su cui stiamo lavorando da anni e che vengono confermate dai ranking internazionali.

Dove è diretto l’ospedale?
Viviamo in un contesto, che è quello del Servizio sanitario nazionale, in cui la dotazione è oggettivamente inadeguata per un Paese del mondo occidentale. Facciamo il nostro dovere come ospedale accreditato, con le tariffe che ci vengono riconosciute dal sistema, anche se non è facile raggiungere l’equilibrio economico e parallelamente sostenere importanti investimenti economici che una struttura di livello deve avere. Però la dimensione fondamentale è la continuità dell’azione per migliorare il livello di erogazione delle prestazioni e il livello di competenze. In aggiunta, non da ultimo, a tanta tecnologia perché aiuta a elaborare le informazioni anche sugli aspetti genetici, del profilo metabolico e per le terapie oncologiche ormai tutte legate al singolo paziente.
Dove si investirà di più?
Il più grande investimento lo facciamo grazie al sostegno che ci dà un soggetto terzo, la Fondazione Roma, per realizzare un centro cardio-vascolare, un polo autonomo all’interno del campus. Questo sarà un fiore all’occhiello, stanno partendo i lavori e speriamo in due anni e mezzo di poterlo mettere in piedi. Altro ambito è la lotta ai tumori, visto che siamo il più grande ospedale oncologico a livello nazionale in termini di numeri: lo scorso anno abbiamo salvato 58mila pazienti oncologici. Questo è un ambito in cui continuiamo a investire soprattutto nella ricerca, con soluzioni diagnostiche molto orientate su aspetti metabolici e mappature genetiche, biopsie liquide su cui stiamo collaborando con un’azienda americana che studia queste soluzioni avanzate.

Come si riesce a creare valore a 360 gradi?

Se si parla di risorse si fa gli equilibristi con l’utilizzo dei mezzi propri, aiutati dalle campagne di raccolta fondi in Italia e all’estero. Ad esempio, faremo un’iniziativa con la Jefferson University di Philadelphia e la famiglia Faber che la sostiene, per far nascere un centro a Roma per le neuroscienze in partnership con noi. Da un lato, insomma, cerchiamo di mobilitare il più possibile le risorse e dall’altro di organizzare le risorse interne al meglio; anche la capacità di ricerca è costantemente sotto pressione per raggiungere gli obiettivi e introdurre nuovi progetti.
E sul fronte della sostenibilità?
Abbiamo un sistema co-generativo da alcuni anni, recentemente innovato per renderlo ancora più intelligente. Stiamo sostituendo tutte le luci all’interno dell’ospedale, che sono circa 300mila. Certo, su questo fronte scontiamo il fatto che l’ospedale ha più di 60 anni. Inoltre, stiamo lavorando sullo smaltimento rifiuti, anche nell’ambito di quelli pericolosi, e stiamo pensando pure a un sistema di riuso delle materie.

Come si riesce a dare attenzione ai giovani?
C’è in ospedale una classe di giovani anagraficamente ma già maturi dal punto di vista della formazione e della ricerca che hanno un dialogo continuo con i contesti internazionali. C’è una fascia avanzata di ricercatori. Il problema, da direttore, è dare il giusto spazio a questi giovani in presenza di un’organizzazione che ha punte di eccellenza che rimangono in ospedale fino a una certa età. Non è sempre facilissimo.
Anche in un contesto che cambia, la mission resta sempre quella di padre Gemelli?
L’umanità e tutto ciò che riguarda la relazione con i pazienti è una grande priorità: prima di vivere dall’interno la dimensione nell’ospedale non avevo a pieno la percezione di ciò. La stragrande maggioranza dei pazienti invece la sperimenta ogni giorno. L’attenzione al paziente e alle sue esigenze, oltre che la clinica, credo abbia pochi eguali in Italia. E questo non è comune.

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