giovedì 27 ottobre 2016
Infertilità: se l'Oms cambia la definizione
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La cosa certa è che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sta lavorando a una nuova definizione di infertilità. Quella ancora incerta – annunciata da un quotidiano britannico, ma subito smentita dall’agenzia dell’Onu con sede principale a Ginevra – è che il nuovo concetto, già fissato da tempo, sarebbe stato esteso a tutte le persone che non possono avere figli per motivi non solo clinici. Dunque anche single o coppie dello stesso sesso. La notizia è stata diffusa nei giorni scorsi dal Telegraph, secondo il quale «la definizione rivista ha dato a ognuno il diritto di riprodursi». Da qui, secondo il quotidiano, potrebbe scaturire una «pressione» affinché i servizi sanitari nazionali «cambino le loro politiche su chi può accedere ai sistemi di procreazione medicalmente assistita». È a questo punto che il giornale riassume quanto affermato da alcuni «esperti di legge»: «Il prossimo anno la nuova definizione sarà inviata a tutti i ministri della salute, e potrebbe forzare un cambiamento normativo, rendendo legale la maternità surrogata». A conferma di tutto ciò, il giornale riporta le parole di David Adamson: «La definizione di infertilità – avrebbe detto il medico tra gli autori del nuovo concetto – è scritta in modo da includere il diritto di tutte le persone ad avere una famiglia, e questo include uomini single, donne single, uomini gay e donne gay». Anche per tutti costoro, aggiunge, il trattamento di fecondazione artificiale dovrà essere pagato dallo Stato. Attenzione: secondo lo stesso interlocutore «ciò fissa modelli legali internazionali». E gli Stati «vi sono vincolati».

Come prevedibile, queste dichiarazioni hanno subito alzato un gran polverone. È scesa in campo l’Oms stessa: «Nel 2009 – ha replicato Tarik Jasarevic, uno dei portavoce – l’Organizzazione ha collaborato con l’Icmart (Comitato internazionale per il monitoraggio delle tecnologie di fecondazione assistita, ndr) e altri partner per sviluppare un glossario di definizioni per l’infertilità e la sua cura». È nato da qui il concetto oggi vigente, che associa la malattia al «mancato raggiungimento di una gravidanza clinica dopo 12 mesi o più di regolari rapporti sessuali non protetti».

E ora? La nota non entra nel merito limitandosi ad affermare che «l’Organizzazione sta attualmente collaborando con i suoi partner per aggiornare il glossario», infertilità compresa. Ma con un chiarimento: si tratterebbe solo di una definizione clinica, senza «raccomandazioni sulla fornitura di servizi per la fertilità». Sollecitato da Avvenire, Jasarevic ha confermato che l’estensione del concetto di infertilità secondo quanto riportato dalla stampa d’Oltremanica è stata solo appena discussa, senza una decisione finale. Per questo «non possiamo speculare su cosa ne uscirà». Il portavoce sembra intanto voler minimizzare l’importanza della decisione: «Noi – spiega – vorremmo sottolineare che le definizioni dell’Oms sono contenute nell’Icd (la classificazione internazionale delle malattie, ndr), e questo glossario non è una pubblicazione ufficiale dell’Organizzazione ma semplicemente un lavoro cui contribuisce il suo staff».

Ciò però non toglie che abbia rilevanza. L’elenco, si legge sul sito del nostro Ministero della Salute, è infatti «lo strumento che riporta in modo sistematico, e secondo precise regole d’uso, la nomenclatura delle diagnosi, dei traumatismi, degli interventi chirurgici e delle procedure diagnostiche e terapeutiche». Se dunque vi entrano nuove situazioni queste diventano "malattie" a tutti gli effetti. E per ognuna di esse viene previsto un protocollo di cure. Conseguenze giuridiche dirette non ne derivano, ma indirette sì: una volta che l’impossibilità di procreare da parte di persone single o gay dovesse essere classificata come patologia, e per essa venissero indicati una serie di trattamenti, gli Stati sarebbero incentivati a interrogarsi su come accogliere e consentire queste "cure" a beneficio dei richiedenti. E, conseguentemente, sarebbero indotti a pianificare quali provvedimenti approvare. Potrebbe accadere anche in Italia, dove la legge 40 del 2004 limita la fecondazione in vitro alle sole coppie eterosessuali che non siano in grado di procreare, vietando contemporaneamente il ricorso alla maternità surrogata. Basterebbe infatti recepire l’indirizzo discusso a Ginevra, e con poche modifiche lo spirito della norma verrebbe capovolto: da strumento per favorire il concepimento all’interno della famiglia naturale diventerebbe infatti quello per garantire a ognuno il "diritto" a riprodursi. Nello stesso tempo, sull’onda di questa "procreazione per tutti" – dunque fruibile anche da uomini single e coppie maschili – si potrebbe aprire un fronte di discussione anche sull’utero in affitto. E proprio in un momento nel quale sia l’Europarlamento in seduta plenaria (dicembre 2015) sia il Consiglio d’Europa (definitivamente l’11 ottobre) l’hanno condannato senza mezzi termini. Con la convinta adesione di tutta la rappresentanza italiana.

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