Gianluca Ianiro
Gianluca Ianiro, classe 1985, è gastroenterologo al Policlinico Gemelli di Roma. Dopo la laurea in Medicina e la specializzazione in Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva, ha iniziato a concentrarsi sulla ricerca del microbiota intestinale e sul trapianto di microbiota. Nel 2024 è stato tra i vincitori del bando NextGeneration Clinician Scientists, prestigioso progetto di Fondazione Airc (Associazione italiana per la ricerca sul cancro) che supporta il suo lavoro pionieristico. È riconosciuto come uno degli esperti mondiali in questo settore, con particolare attenzione alle sue applicazioni in ambito oncologico. Un piede in laboratorio e uno in corsia, sotto il camice c’è un uomo eclettico, curioso e appassionato alla vita in tutte le sue forme.
Cosa l’ha convinta a scegliere Medicina?
Per avere a che fare con gli esseri umani e quindi avere la possibilità di vivere tante vite. Un medico non lavora con le malattie ma con la vita delle persone, nelle sue diverse manifestazioni. Dall’altro lato, essere un ricercatore mi permette di non annoiarmi mai, l’aggiornamento è d’obbligo: ci sono sempre nuove scoperte, tecnologie e metodologie. Questo lavoro mi permette di conoscere di più l’umanità in tutte le sue sfaccettature e tenere la mente sempre allenata.
Perché ha scelto di occuparsi di gastroenterologia e nello specifico del microbiota intestinale?
All’inizio in realtà non ero molto interessato al microbiota, della gastroenterologia mi piaceva l’endoscopia perché si mettono le “mani in pasta”. Sono stato spinto dai miei maestri ad approfondire il microbiota, e mi ha appassionato così tanto che è diventato il mio principale ambito di ricerca. Sono contento di poterlo dire, perché è molto rassicurante: non sempre se una cosa non ti attrae dall’inizio vuol dire che non fa per te, devi conoscerla bene prima di poter sapere se davvero ti corrisponde. Nella vita non esistono solo i colpi di fulmine, ma anche scelte graduali.
Ha iniziato a lavorare come ricercatore grazie al bando Airc Next Generation Clinician Scientist. Come è cambiata la sua vita?
Per me è un’opportunità incredibile. Fondazione Airc dà veramente un supporto enorme ai ricercatori, in particolare ai giovani. Grazie a questo bando posso implementare il mio progetto, scegliere con chi collaborare, avere accesso ai materiali e alla strumentazione. L’obiettivo della mia ricerca è identificare se l’analisi del microbiota intestinale permette di rintracciare precocemente la presenza di un cancro e di lesioni precancerose del colon-retto. Il bando Airc che ho vinto inoltre ha scopi specifici: ci dovevano essere cioè rapide ricadute pratiche nella terapia o nella diagnostica. Questo, oltre a essere stimolante, permette di lavorare su quello che davvero interessa di più ed è urgente per la comunità medica e soprattutto per i pazienti, che sono sempre il nostro riferimento.
Cos’è il microbiota intestinale?
È l’insieme di miliardi di microrganismi, batteri, virus e funghi, che vivono nel nostro intestino. Questi microrganismi svolgono un ruolo fondamentale per la salute: aiutano la digestione, rafforzano il sistema immunitario e producono molecole essenziali che contribuiscono al corretto funzionamento dell’organismo. Squilibri del microbiota possono portare a obesità, diabete e disturbi infiammatori.
Qual è il suo rapporto con i pazienti?
Da gastroenterologo incontro molti pazienti affetti da malattie funzionali dell’intestino, come la sindrome dell’intestino irritabile. A questi pazienti tendenzialmente tutti dicono che soffrono di patologie psicosomatiche derivate solo da un problema psicologico, e gli viene consigliato spesso di prendersi una vacanza, trovarsi una fidanzata o cambiare stile di vita. Io non sono d’accordo con questo approccio perché minimizza la patologia e demoralizza il paziente. Il problema è anche legato all’influenza della psiche, ma bisogna approfondirlo andando oltre il sintomo manifestato e gestire il paziente nella sua interezza, connettendo elementi che sembrano scollegati.
L’approccio con i pazienti oncologici è diverso?
Il cancro deve essere affrontato nell’interezza della vita dei pazienti, che hanno una forza incredibile. Sapere di poter dare loro una speranza di miglioramento della condizione di vita attraverso strumenti diagnostici e terapeutici innovativi mi riempie di orgoglio. Spesso è proprio l’incontro con questi pazienti a darmi la spinta, l’entusiasmo, il senso delle ricerche che faccio con il mio team, un manipolo di giovanissimi “pirati della scienza”, senza i quali non riuscirei a fare nulla.
Cosa intende per “pirati della scienza”?
I gruppi di ricerca di solito si possono dividere in due impostazioni: artistica o militare. I team “artistici” sono composti da individui che si muovono sull’onda della creatività e dell’ispirazione personale. I gruppi a impostazione “militare” sono formati da soldati che eseguono gli ordini di un comandante. Io invece da bambino ho letto tutti i libri di Emilio Salgari, sono sempre stato affascinato dalle bande dei pirati dove il capitano è tale solo in virtù del rispetto dei compagni. Ma soprattutto si persegue un’ambizione comune, un progetto collettivo, ciascuno secondo le proprie inclinazioni e occupando diversi ruoli, ma muovendosi insieme in modo armonico, risultando così molto di più che una semplice addizione. E poi, quando i pirati trovano un tesoro, se lo spartiscono tra tutti: questa condivisione del lavoro e dei meriti è fondamentale.
Leggere è una sua passione?
Fin da bambino sono stato un lettore vorace: la lettura, come la medicina, mi ha stregato per la possibilità di conoscere altre vite ed entrare in profondità nell’animo delle persone o dei personaggi. Questo permette di avere una cultura più ampia e una visione diversa delle cose, entrambe essenziali per un ricercatore, a prescindere dall’ambito. Oltre a questo, scrivo articoli scientifici, per cui diciamo che facendo il ricercatore sono riuscito a coronare il mio sogno di fare lo scrittore.
E fuori dal laboratorio?
Mi piacciono un sacco di cose diverse: cucinare, ascoltare musica indipendente dagli anni ‘80 fino ai primi 2000, girare per i mercati rionali. E amo la provincia italiana. La mia priorità però è passare tutto il tempo possibile con la mia famiglia, che non vedo durante il giorno. La nascita di mia figlia è stata senza dubbio l’evento più importante della mia vita. Diventare padre mi ha fatto sperimentare una forma di amore incondizionato che ha cambiato la mia visione del mondo.