martedì 1 luglio 2025
La presenza cristiana nella società si sta riconfigurando: la sensibilità religiosa muove a impegnarsi nelle “periferie morali” dell’umano. Così il Movimento per la Vita colma solitudini silenziate
Il "popolo" del Movimento per la Vita durante il Convegno nazionale dei volontari nel novembre 2024 a Mogliano Veneto

Il "popolo" del Movimento per la Vita durante il Convegno nazionale dei volontari nel novembre 2024 a Mogliano Veneto

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Se il declino della partecipazione alle cerimonie liturgiche emerge con rinnovata insistenza, il dato in sé non suona affatto come inedito: questo mondo contemporaneo non stupisce più nessuno per la sua serena e proclamata indifferenza nei confronti della pratica liturgica. Se a ciò si aggiunge il crescente analfabetismo sul significato dei sacramenti, il calo verticale dei matrimoni celebrati con rito religioso e il relativismo nei confronti delle verità di fede si è dinanzi allo scenario di una crisi oramai conclamata e senza appello.

In realtà la scomparsa dei praticanti è una fotografia incompleta della realtà. Accanto a questa si assiste a un riposizionamento e a una nuova collocazione del sacro sulla superficie della vita sociale condivisa. Più che chiedersi se la Messa sia finita o meno ci si deve pertanto interrogare su dove si sia spostata la sensibilità religiosa, in quali ambiti sia affluita, dove sia ricomparso il “fiume carsico” della fede in Dio e assolvendo quali funzioni.

In realtà si possono qui distinguere due modalità di ricollocazione.
Le prime compaiono all’interno della tradizione religiosa, spesso recuperando forme fino a poco prima marginali, ridotte ad essere vere e proprie “isole della fede” tanto tralasciate quando non addirittura banalizzate. La religiosità, che è scomparsa dagli spazi temporali del giorno festivo e della parrocchia, riappare altrove. Si assiste così all’esplodere di manifestazioni di sensibilità religiosa che vanno dalle devozioni popolari agli entusiasmi intorno al carisma pontificio, dal rinnovo dei pellegrinaggi alla visibilità dei santuari, dalla silenziosità dei cammini personali al proliferare dei ritiri spirituali.

Le seconde invece, che sono quelle delle opere, prendono vita fuori dal recinto delle credenze e delle pratiche alimentate dal recupero della tradizione o dalle nuove legittimazioni della spiritualità. Queste opere danno forma a presenze che si inseriscono là dove non erano affatto attese e dove, entrando nelle contraddizioni e nelle fratture della società contemporanea, finiscono con lo svolgere una vera e propria attività “di frontiera”, rendendo visibili le nuove povertà immateriali, apertamente negate dall’attivismo del benessere che costituisce il vero “spirito dell’epoca”.

In questa seconda dimensione i nuovi percorsi del sacro non si risolvono in un semplice recupero di quest’ultimo, né ancor meno in quello del sentimento devozionale che lo sorregge. Ma si concentrano invece negli ambiti cruciali dell’esistenza immateriale (quella che riguarda l’anima prima ancora del corpo), nelle nuove “periferie morali” dove si decidono le scelte più importanti dell’ “umano tutto intero”.

Proprio per questa strada, lungo cammini di frontiera che transitano là dove la vita e il suo significato sono provocati e messi in discussione – quali possono essere gli ospedali, le carceri e gli hospice – si assiste a una riqualificazione della presenza religiosa. Questa, attraverso l’opera di volontariato, va a ricollocarsi al centro dell’umano, nel luogo cruciale in cui maturano le decisioni definitive: quelle tra la vita e la morte, tra l’aprire la porta agli altri o lasciarsi cadere, tra il consentire l’accesso alla vita o negarla.
In questa prospettiva è chiaro che chi opera in tutti questi luoghi di frontiera svolge una funzione decisamente critica, portando allo scoperto le nuove emergenze e le nuove priorità dell’umano: quelle nelle quali la coppia è inesistente o divisa, la famiglia è latitante, la collettività abbandona i singoli a loro stessi e l’ideologia dominante proclama la libertà dei singoli in realtà rinviati ad una sostanziale solitudine.

In questo contesto di frontiera, dinanzi alle nuove periferie dell’umano, la donna in stato di gravidanza e il figlio che si sviluppa dentro di lei, tolti dalla cornice assolutamente naturale nella quale erano stati definiti, sono oggi collocati in uno spazio inedito.
È significativo come la condizione dell’esistenza della relazione tra madre e bambino nella fase prenatale della vita, presentata e vissuta dall’alba dell’umanità in poi come naturale e quindi intimamente dotata di senso, sia oggi sempre di più sottratta alla natura per essere sottomessa alla cultura, quindi ad una scelta soggettiva consapevole e volontaria.

Estromessa dallo spazio intimo della vita naturale, la relazione tra madre e figlio durante la gravidanza, è collocata oramai nell’ambito di una scelta volontaria che ricade sulle spalle della prima, sola ed unica responsabile. Si apre così un baratro inedito tra la società contemporanea e tutte quelle che l’hanno preceduta: la relazione più profonda, quella costituiva dell’umano “tutto intero”, viene lasciata per intero e per la prima volta, sulle spalle e sull’anima di ciascuna, mentre tutto il resto del proprio “mondo vitale” si rende estraneo o è chiamato a rendersi tale.

Si apre così un angolo di vita nel quale la donna, una volta legata a colui che culla in seno, deve decidere tra legame significativo e autonomia, tra riconoscimento e accettazione dell’altro, oppure e all’opposto, il rifiuto di quest’ultimo. Ma soprattutto deve farlo in una condizione di “autonomia” che è anche, almeno potenzialmente, una condizione di sostanziale solitudine.
Di fatto si produce così una nuova “periferia morale” che incide sulla più alta e significativa delle relazioni umane: quella tra madre e figlio uniti nel più fondamentale e duraturo degli abbracci.

Ed è su questa periferia inedita, nettamente occultata dalla vittoria della libertà individuale ed esaltante le nuove frontiere dell’autonomia, che la realtà delle opere suscitate dall’esperienza religiosa si trova ad essere chiamata ad incidere.
Il Movimento per la Vita, assieme a tante altre associazioni che si occupano di stare accanto alle madri in una condivisione che nasce dallo sguardo sul figlio concepito, riempie così il lato oscuro della libertà: quello della solitudine di chi è lasciata da sola alle prese con l’immensamente grande che le è germinato all’interno e che solo l’ipocrisia della nostra rappresentazione dominante, spacciandola per autonomia, è indotta a de-enfatizzare.

Una volta preso atto di queste modalità di presenza proprie di una fraternità che ascolta e si fa compagnia è allora veramente significativo interrogarsi sui percorsi intrapresi dal sacro. Sul felice esito di una sensibilità che, nata dalla sensibilità religiosa, arriva a cogliere un altrove del tutto nascosto, quello che si situa nelle nuove solitudini che caratterizzano il tempo presente.
I banchi vuoti delle chiese, costantemente ripresentati come un segno identificativo di una scomparsa della dimensione religiosa, rinviano così ad un altrove, dove quest’ultima sta operando. Doveva essere un declino ed invece è un recupero. Doveva essere una scomparsa ed invece è una rinascita, nella quale il fiume carsico riemerge là dove c’è più bisogno: nell’altrove di esistenze individuali abbandonate ad una scelta che, per essere stata sottratta alla sua dimensione naturale, è diventata vertiginosa e spesso insostenibile.
*Professore Ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia Università di Trento

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