Così l’intelligenza artificiale può rendere visibile il bene
Immaginare un “algoritmo della bontà” è possibile: significa pensare a sistemi tecnologici in grado di intercettare storie di solidarietà, cooperazione, fiducia e di renderle più accessibili, più condivise, più contagiose

Viviamo immersi in un ecosistema informativo che sembra nutrirsi quasi esclusivamente di paura. Quando ascoltiamo un telegiornale, apriamo un sito di news o scorriamo i social veniamo subito colpiti da immagini e titoli che raccontano conflitti, crimini, emergenze, disastri e scandali. Il racconto del mondo, giorno dopo giorno, assume i contorni di una sequenza ininterrotta di allarmi e tragedie. Le notizie positive, quando compaiono, sembrano eccezioni, parentesi fugaci destinate a scomparire rapidamente dal flusso principale della narrazione quotidiana. Questa distorsione non è casuale. È il risultato di un meccanismo ben noto: l’attenzione collettiva viene catturata più facilmente da ciò che genera shock, indignazione o paura. Gli algoritmi che regolano la visibilità dei contenuti lo sanno bene e finiscono per amplificare tutto ciò che divide e preoccupa, perché genera interazioni, clic, commenti. Il prezzo però è alto: un clima diffuso di sfiducia, ansia e senso di impotenza che si riflette sul modo in cui percepiamo la società e gli altri e che libera energie negative che finiscono per avvelenare non solo i circuiti mediatici ma anche le relazioni umane.
Eppure questa rappresentazione della realtà è parziale e incompleta. Accanto alle crisi e alle difficoltà esiste un tessuto sociale vivo, fatto di persone che ogni giorno si prendono cura degli altri senza clamore. C’è un’Italia che non fa notizia: quella dei volontari che assistono chi dorme in strada, delle famiglie che aprono le proprie case a chi fugge da guerre e povertà, dei cittadini che si organizzano per sostenere anziani soli o bambini in difficoltà. Ci sono studenti che offrono ripetizioni gratuite, professionisti che mettono competenze al servizio della comunità, imprenditori che scelgono modelli più sostenibili e inclusivi. Dopo ogni calamità naturale emergono reti spontanee di aiuto: mani che scavano, cucine improvvisate che sfamano interi paesi, donazioni che arrivano da sconosciuti. Ci sono associazioni che recuperano cibo, vestiti e oggetti destinati allo spreco e li trasformano in risorse per chi ha meno. Ci sono giovani che progettano soluzioni semplici e accessibili per migliorare la vita delle persone fragili. Tutto questo accade ogni giorno, ma raramente conquista lo spazio che meriterebbe. Da qui nasce una domanda cruciale: e se la tecnologia potesse aiutare a riequilibrare questo racconto? Se l’Intelligenza Artificiale (AI), anziché amplificare solo ciò che divide, diventasse uno strumento capace di dare visibilità al bene? Immaginare un “algoritmo della bontà” significa pensare a sistemi tecnologici in grado di intercettare storie di solidarietà, cooperazione, fiducia e di renderle più accessibili, più condivise, più contagiose.
Un’AI orientata al bene potrebbe analizzare enormi quantità di contenuti e portare alla luce iniziative locali, progetti poco conosciuti, esempi virtuosi nati dal basso. Potrebbe suggerire agli utenti storie che ispirano, opportunità di volontariato vicine, cause da sostenere, azioni concrete di gentilezza quotidiana. Non per censurare il negativo, ma per evitare che sia l’unico orizzonte possibile. Potrebbe anche svolgere una funzione educativa, aiutando le persone a scoprire come contribuire attivamente alla vita della propria comunità, mettendo in contatto chi ha bisogno con chi è disposto ad aiutare. In un’epoca segnata da solitudine e frammentazione sociale, un simile ponte avrebbe un valore enorme. L’Intelligenza Artificiale non è neutra: riflette le scelte di chi la progetta e gli obiettivi che le assegniamo. Può alimentare paura o fiducia, isolamento o connessione. Scegliere di usarla per raccontare il bene significa riconoscere che la speranza non è ingenua, ma necessaria. Forse è arrivato il momento di rendere il bene visibile, di farlo circolare con la stessa forza del male, e di trasformare la tecnologia nel megafono di una società più umana, solidale e consapevole.
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