giovedì 15 maggio 2025
Suor Chiara prega col malato terminale, don Pasquale con i genitori che hanno i figli ricoverati... «Solo chi si sente abbandonato chiede il suicidio assistito». Le voci dal convegno Cei
Un partecipante al convegno Cei di Pastorale della salute

Un partecipante al convegno Cei di Pastorale della salute - Foto Alessio Romenzi

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Robert non parlava con i suoi genitori da anni. Se ne sarebbe andato nella più totale solitudine, stroncato dall’Aids. Ma un incontro gli ha ridato speranza, riaccendendo una piccola luce anche lì dove sembrava impossibile. I suoi ultimi istanti sulla terra rivivono negli occhi di suor Chiara, delle suore Francescane missionarie di Cristo. Una vita dedicata ai malati terminali. «Desiderava pregare – racconta la religiosa –. Mi chiese di aiutarlo perché non si ricordava più come si facesse. Era scappato di casa e aveva perso anche la fede. Così gli domandai che cosa avesse nel cuore. Mi rispose che aveva paura di morire. Lo invitai a gridare queste stesse parole al Signore. Dopo pochi secondi, scoppiò a piangere».

Prima di chiudere gli occhi per l’ultima volta, Robert si è confessato con un sacerdote, si è riconciliato con Dio e anche con i suoi genitori. Era sereno quando si è spento nel suo letto d'ospedale. È morto stringendo le loro mani, insieme a quella di suor Chiara. Sono tante le storie come la sua. Di ammalati che non sono stati lasciati soli nella sofferenza. Le conservano nel cuore quanti hanno partecipato dal 12 al 14 maggio a Roma al Convegno nazionale di Pastorale della salute organizzato dall’Ufficio Cei. «Stiamo sperimentando tutti i linguaggi e tutti i modelli che ci possono avvicinare sempre di più alle persone, andando a curare le relazioni – spiega don Massimo Angelelli, direttore dell'Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei –. La solitudine è lo scenario peggiore in cui vivere la malattia. I pazienti hanno bisogno innanzitutto di essere ascoltati». Un aspetto che diventa centrale anche nella questione del fine vita. «In primis – aggiunge il sacerdote – dobbiamo riconciliarci con l’idea della morte, che non deve farci paura. Come cristiani, sappiamo che non è la fine ma l’inizio di una nuova vita. In questa prospettiva, siamo assolutamente convinti che la cura, l'accompagnamento e la palliazione siano gli strumenti più idonei per sostenere le persone con grande dignità». Gli fa eco Gianni Cervellera, coordinatore scientifico del Convegno. «Le richieste di suicidio assistito arrivano quando le persone si sentono abbandonate – sottolinea –. In questi ultimi anni siamo passati infatti da una pastorale di tipo esclusivamente sacramentale a una che comprende anche la dinamica relazionale. La relazione è un farmaco, una vera e propria cura palliativa».

Secondo Cervellera, in questo quadro «è importante coinvolgere non solo i sofferenti ma anche tutti coloro che orbitano intorno a loro, come i parenti, gli operatori sanitari e i volontari». Ne è convinto anche don Pasquale Pellegrino, direttore dell’Ufficio di Pastorale della salute della diocesi di Teggiano-Policastro (Sa). «In questi ultimi due mesi siamo stati vicini alle famiglie di due adolescenti ricoverati in terapia intensiva – racconta –. Mi ha colpito il loro attaccamento alla vita. Hanno affidato i propri figli al Signore, offrendo a tutti una testimonianza cristiana che mi ha edificato». Alfredo Mancini collabora invece con le Suore ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù nella casa di cura “Villa San Giuseppe” ad Ascoli Piceno. Una struttura che si occupa in particolare delle patologie psichiatriche. «La pastorale della salute deve abbracciare anche le famiglie dei malati – sottolinea –. Anche loro sperimentano la sofferenza dei propri cari». Alfredo è stato recentemente accanto a un papà ricoverato per una dipendenza da alcol. «Dieci giorni prima di uscire mi chiese se fosse possibile partecipare alla Cresima di suo figlio. Gli diedero il permesso. Fu un grande giorno di festa per tutti». Di questa vicinanza silenziosa è testimone anche suor Margherita Salvatore, che svolge il servizio di assistente spirituale nell’ospedale di Tione di Trento. «Le persone non hanno bisogno di tante parole, ma di ascolto». La religiosa si porta sempre nel cuore una signora malata oncologica che è venuta a mancare qualche tempo fa: «È stata consapevole di tutto fino all’ultimo momento – racconta –. Ha voluto organizzare il suo funerale nei minimi dettagli. Come ultimo desiderio mi ha chiesto solo di stringerle forte la mano».

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