giovedì 11 aprile 2019
Le rivoluzionarie scoperte del neuroscienziato inglese Adrian Owen sugli «stati vegetativi»: in un libro l’impresa che ha illuminato la «zona grigia»
Adrian Owen

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Sono stati probabilmente i progressi della medicina di emergenza a far crescere i casi di stato vegetativo (così definiti dal 1972). E sono stati i neuroscienziati, non necessariamente clinici, ad aprire un varco nell’impenetrabilità di quella condizione con straordinari avanzamenti concettuali e tecnologici negli ultimi due decenni.

Eppure, ancora oggi, come riconosce Adrian Owen al termine del suo coinvolgente libro, «la ricerca per svelare la natura onnipresente della coscienza non può che rinviare ai tanti modi per cui ciascuno di noi è unico. Ogni individuo contiene dentro di sé interi mondi, costruiti attraverso l’esperienza di un’intera vita». Si tratta della conclusione, ancora provvisoria, di un appassionante percorso personale e di studio all’interno della Zona grigia, quella che dà il titolo all’opera (Mondadori, 254 pagine, 20 euro), il cui sottotitolo – Un neuroscienziato esplora il confine tra la vita e la morte – dovrebbe più compiutamente esprimerne il tema. In realtà, rischia di trasmettere il messaggio fuorviante, per nulla rispecchiato nei contenuti, che i cosiddetti stati vegetativi siano una condizione simile all’estenuazione finale dell’esistenza, in cui invariabilmente la persona 'non c’è più'.

Lo straordinario racconto di Adrian Owen, inglese ma docente in Canada al Brain and Mind Institute della Western University, si concentra infatti sulle pionieristiche intuizioni che lo hanno portato a svelare come, sigillata in tanti pazienti su cui era calata una diagnosi infausta e definitiva, si celi una piena consapevolezza che tuttavia non riesce a manifestarsi. Chi in passato soffriva di un grave danno cerebrale, per prolungata mancanza di ossigeno o per un trauma violento, per lo più moriva in pochi giorni.

Oggi le tecniche di rianimazione permettono di salvare e stabilizzare molti di coloro che sono colpiti da ictus o coinvolti in incidenti. Per una certa percentuale si passa dallo stato di coma a una situazione di 'stato vegetativo' in cui le funzioni fisiologiche sono regolari, si ripresenta il ritmo sonno veglia ma è assente la responsività agli stimoli. Il paziente non parla, non manifesta attenzione o altre reazioni: in una parola, sembra del tutto incosciente. Sembra è la parola chiave.

Perché Owen, con tutti i suoi collaboratori di vari centri di ricerca, è andato oltre l’apparenza, riuscendo a comunicare con qualcuno dei molti 'condannati' a una degenza senza cure o anche – come sappiamo dai casi più eclatanti – lasciati morire volontariamente con la sospensione di alimentazione e idratazione.

La storia narrata in La zona grigia è ancora più toccante perché si intreccia con le vicende private dell’autore – il tumore che l’ha colpito da ragazzo, la perdita della madre e il cadere in stato vegetativo della sua ex fidanzata Maureen, giovane collega che lo spronava a non fare ricerca fine a sé stessa ma a dare giovamento diretto ai malati. Ecco allora, negli anni Novanta, i primi tentativi con l’elettroencefalogramma e la Tomografia a emissione di positroni, per tentare di capire se e come il cervello dei 'comatosi' reagisce a coppie di parole congruenti o incongruenti, esprimendo un ritmo elettrico specifico, o se risponde a fotografie di volti conosciuti con l’attivazione delle aree note per essere specializzate nel riconoscimento di esseri umani.

Ma queste tecniche hanno limiti di risoluzione e di somministrazione (la Pet espone a radiazioni) e i pazienti sono pochi, perché non c’è interesse a studiarli e manca comunicazione tra ospedali universitari. Poi la grande, emozionante svolta della Risonanza magnetica funzionale (fMRI), senza vincoli di impiego, se non i costi, e la geniale intuizione di provare a chiedere ai malati di immaginare azioni specifiche, dato che ora possiamo letteralmente 'leggere nel pensiero'.

Giocare a tennis e visualizzare la propria casa: sono azioni mentali che accendono aree diverse e ben identificabili: la prima è legata al movimento corporeo, la seconda alle mappe spaziali e alla memoria. Nasce così lo studio che rivela la più che probabile presenza di coscienza in Carol, investita da due auto e diagnosticata in stato vegetativo. Per cinque volte obbedisce all’indicazione di Owen e sullo schermo della fMRI si accendono le aree tipiche che si attivano nelle persone sane. Un successo che proietta Owen nella celebrità, gli consente di avere più fondi e di trovare molti pazienti, dato che adesso le famiglie si rivolgono direttamente a lui. Il neuroscienziato inglese con l’italiano Max Monti fa poi l’ulteriore, spettacolare passo.

Owen entra nel tubo della risonanza e si fa interrogare dal collaboratore. Se vuoi rispondere sì, pensa alla partita a tennis; se vuoi rispondere no, pensa alla mappa di casa tua. Monti non conosce la vita del suo coordinatore. Gli chiede: «Tua madre è ancora viva», vede sullo schermo quale area del cervello si colora, poi lo dice a voce alta: «No». Owen scrive: fui felice di sentire dire che mia madre era morta, avevamo compiuto un avanzamento decisivo. E infatti si era trovato il modo di parlare con i pazienti in apparente stato vegetativo, come avvenne pochi mesi dopo per la prima volta. Un’altra pubblicazione che farà la storia della neurologia e apre la strada alla comprensione del fatto che forse una persona su 5 di quelle ritenute in stato vegetativo sia in realtà cosciente anche se non può comunicarlo.

Negli anni recenti altre tecniche per cercare la coscienza chiusa nella zona grigia sono state messe a punto da Owen, compresa una che consiste nel proiettare un cortometraggio di Alfred Hitchcock durante la risonanza magnetica per scovare tracce di consapevolezza in coloro che forse sono troppo deboli per passare il test del tennis. Nei colloqui via fMRI un paziente ha infine risposto alla domanda più angosciosa per parenti e medici: si soffre, nella zona grigia? Si è intrappolati in una terribile notte di dolore? No, pare di no. E anche individui con 'sindrome dello scafandro' (cioè impossibilitati a qualsiasi movimento tranne quello delle palpebre) si dichiarano in media nella parte alta della scala di felicità. Sullo sfondo di conquiste scientifiche, vite appese, sofferenza e rinascita (come il per ora inspiegabile caso di Juan, giovane dj presto risvegliatosi dallo stato vegetativo e primo a raccontare com’era la sua vita quando per gli altri 'non c’era più'), sono narrati anche i casi più controversi, da Terri Schiavo ad Ariel Sharon (che nessuno nel team di Owen voleva visitare...). In un libro tutto centrato sul mondo anglosassone, nessun riferimento a Eluana Englaro. La coscienza, con il suo sorgere e inabissarsi, resta un mistero scientifico. Gli studi di Owen hanno aperto un altro spiraglio di conoscenza e di speranza per i malati. La strada per il futuro passa di qui.

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