sabato 5 febbraio 2022
L’arcivescovo di Lucca, a capo della Commissione episcopale per la Famiglia, i Giovani e la Vita, spiega cos’ha da dire la Giornata 2022 agli italiani
Giulietti (Cei): tutta la vita invoca la nostra custodia
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La pandemia sta mostrando a tutti quanto siano decisive la cura e la relazione per sanare una società ferita, dal virus e dalle patologie che si trascina da ben prima che il Covid irrompesse sulla scena, due anni fa. È parso a tutti evidente che non possiamo abbandonare nessuno, e che la prima terapia umana è quella che affronta la solitudine. Per questo l’idea che ogni vita attenda e meriti custodia – tema al centro della Giornata per la Vita 2022 – appare quantomai adatto alla situazione che tutti insieme stiamo attraversando. E lo è in più di un senso, come ci spiega monsignor Paolo Giulietti, giovane arcivescovo di Lucca e presidente della Commissione episcopale per la Famiglia, i Giovani e la Vita, l’organismo Cei cui fanno capo la Giornata nazionale e il suo Messaggio per la Chiesa italiana.

«Custodire ogni vita»: che messaggio manda la Cei al Paese con questa scelta tematica?
Il tema della "custodia" è collegato a san Giuseppe, che papa Francesco ci presenta impegnato a prendersi cura, in molti modi, di Gesù e della Chiesa. D’altra parte, l’esperienza della pandemia ha messo in evidenza proprio la profonda interdipendenza che ci caratterizza e che ci sfida a fare qualcosa per chi è più fragile, rifuggendo l’indifferenza.

Perché una parrocchia dovrebbe celebrare la Giornata per la Vita, un’iniziativa nata oltre 40 anni fa in un Paese molto diverso da oggi? E come può farlo?
La difesa della vita non cessa di essere un’emergenza: in relazione alla vita al suo sorgere, perché l’aborto nega ancora il diritto a nascere a decine di migliaia di bambini e lascia ferite profonde nell’animo di tante donne; in relazione alla vita al suo tramontare, per il dibattito sull’eutanasia che sta animando il nostro Paese. Anche le stragi di migranti in mare, le migliaia di decessi solitari nei reparti di terapia intensiva e le crescenti morti sul lavoro pongono questioni serie a chiunque si interroghi se la nostra società dia abbastanza valore a tutte le vite.

Cosa ci sta dicendo la pandemia sulla "custodia" della vita umana?
Che siamo fragili e che abbiamo un disperato bisogno degli altri. Nessuno – persona, famiglia, nazione... – si può salvare da solo; siamo affidati gli uni agli altri e se qualcuno se ne dimentica sono guai per tutti. Ci ha detto che l’egoismo non è solo cattivo, ma è anche stupido.

L’Istat continua a sfornare dati impressionanti sul crollo demografico, di dimensioni tali da far pensare che non sia solo questione di risorse economiche e strutture. Come se ne può uscire?
Che non sia solo questione di soldi o di servizi è evidente, poiché il tasso di natalità scende anche in quei Paesi che hanno politiche familiari ben più consistenti e stabili delle nostre: da nessuna parte in Europa si raggiunge il tasso di 2 figli per donna; tolte le immigrate, poi, i valori precipitano. La questione è complessa, ma l’incertezza verso il futuro, la difficile conciliazione col lavoro e l’età avanzata del primo parto giocano un ruolo determinante. C’è però anche una dimensione culturale: la fecondità non è di moda; anche le coppie che potrebbero permetterselo non mettono al mondo molti figli. La lezione della Cina è eloquente: dopo decenni di propaganda per il figlio unico, oggi che ne servirebbero due o tre per coppia non si riesce a invertire il trend. Oltre a solide misure strutturali, c’è quindi bisogno di un’azione culturale: dire (scuola, canzoni, libri, film, serie tv...) che la famiglia numerosa è bella, che avendo fratelli e sorelle si cresce meglio, che coloro che hanno più figli – donne in primis – sono persone realizzate e felici, che le mamme giovani hanno il coraggio e la gioia di realizzare i propri desideri.

Gli aborti sono in calo, ma intanto cresce il consumo delle pillole "dei giorni dopo", ormai liberalizzate. Cosa ci segnalano questi fenomeni?
Che si tende a banalizzare e a privatizzare l’esperienza dell’aborto, in questo tradendo la stessa legge 194, che non lo considera un fatto positivo e prevede misure per scongiurarlo. Come recita l’articolo 1, «lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio». Banalizzazione e privatizzazione rispondono invece alla diffusa tendenza all’individualismo, affermata come funzionale alla difesa di presunti "diritti" della persona, ma in realtà destinata ad accrescere la solitudine dinanzi ai dilemmi della vita e a difendere, in tante situazioni, solo il diritto del più forte.

Il Parlamento discute di "morte medicalmente assistita" mentre è ormai imminente il pronunciamento della Corte costituzionale sul referendum per legalizzare l’eutanasia. Cosa dice la Chiesa italiana su queste sfide?
Va detto innanzitutto che le critiche contro il referendum non vengono solamente dalla Chiesa ma da un ampio parterre di giuristi che guardano con preoccupazione alle prospettive che potrebbero aprirsi. Anche perché le discipline permissive presenti in altri Paesi hanno fatto crescere le pratiche eutanasiche, pure in situazioni controverse. In Olanda, su quasi 7.000 casi di morte provocata (4% dei decessi totali), un numero crescente di soggetti non sono malati terminali ma persone affette da demenza o da altre patologie psichiche, anche giovani, mentre si comincia a parlare del diritto di farla finita liberamente una volta superati i 75 anni, senza alcun riferimento a particolari malattie. La Chiesa, da sempre contraria all’accanimento terapeutico, afferma che ogni persona che si trovi in situazione di sofferenza estrema ha prima di tutto bisogno della vicinanza di familiari e amici, di cure che possano alleviare il dolore e di un "accompagnamento spirituale", cioè di un aiuto a dare un senso alla condizione che ci si trova a vivere. Si tratta di prendersi cura dell’altro, senza mascherare la propria indifferenza o paura come tutela di un’autodeterminazione che è assai lontana da una visione corretta della vita, che non è mai "patrimonio privato" ma dono ricevuto.

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