giovedì 24 marzo 2016
La denuncia di De Nigris: senza casi mediatici, chi cerca una vita con piena dignità quando è fragile non sente più ascoltate le sue autentiche necessità
«Fine vita, la politica pensi all’assistenza»
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Quali sono le risposte ai bisogni delle persone con disabilità e grave cerebrolesione acquisita?Possiamo dire che siano una priorità nell’agenda politica e generalmente sui media? Non possiamo dirlo. Possiamo invece dire che ci sono domande impellenti e bisogni costanti fronteggiati da associazioni, operatori del mondo sanitario e non che lavorano quotidianamente su questo (lo facciamo anche noi sul progetto «Casa dei Risvegli Luca De Nigris», struttura pubblica dell’Azienda Usl di Bologna, eccellenza post-acuta in Italia e in Europa). Accadeva prima che il caso Englaro esplodesse in tutta la sua prorompente contraddizione, e continua ancora oggi. Con la differenza che, nel periodo in cui si consumava la vicenda di Eluana, i politici se ne occupavano e l’opinione pubblica, attraverso i media, ne era coinvolta. È stata una stagione che ha consentito di portare alla luce le migliaia di persone che vivono questa condizione, un periodo che ha fatto scaturire le «Linee guida sugli stati vegetativi e di minima coscienza» che tutte le Regioni dovrebbero applicare.  Il tema è di quelli caldi e riguarda le persone che convivono con la malattia. Ma la malattia, e la condizione di vita che ne consegue, ha molte sfaccettature, molte sfumature e molte declinazioni. I "disturbi della coscienza" attualmente non godono di particolare attenzione, neanche dal punto di vista della ricerca (che sarebbe invece da incrementare). Si parla di stati vegetativi solo per accostarli al "fine vita" quando invece sono vite di "lunga durata" rappresentate in Italia da migliaia di persone che soffrono una forte spinta all’abbandono terapeutico. Di questo non si parla quasi mai. Perché la politica è inadempiente. Lo è nella calendarizzazione dell’agenda sui temi etici e nelle proposte di legge, lo è nelle conoscenze per incentivare l’assistenza di queste persone (il documento finale del «Tavolo sugli stati vegetativi e di minima coscienza» di cui faccio parte presso il Ministero della Salute è fermo da mesi sul tavolo del ministro Lorenzin).Oggi a distanza di anni non abbiamo altro che la nostra Costituzione come "custode" a cui affidare la tutela dei nostri diritti e dei nostri princìpi. Ma che cosa dobbiamo salvaguardare? Innanzitutto la cittadinanza delle persone in stato vegetativo, il sostegno della loro rete familiare, amicale e sociale che li circonda in ogni area geografica di appartenenza, riconoscendo il valore della medicina, ma mettendo al centro dell’operare un’alleanza terapeutica tra operatori sanitari e non, famiglia e volontariato. Fare questo vuol dire intanto non contrapporre la dignità di fine vita alla tutela dell’assistenza, la libertà di scelta con l’impegno sociale; riconoscere laicamente la vita in se stessa e non come qualcosa di incompleto che va sempre abbinato a un aggettivo ("degna di essere vissuta"...), ma una "vita senza aggettivi". Per fare questo dovremo ribadire e sempre più alzare il velo su queste persone e le loro famiglie. Capire che vedere e far conoscere vuol dire anche riconoscere qualcosa che riguarda tutti: non solo le persone che vivono direttamente queste vicende, non solo il mondo sanitario e dell’associazionismo che le affronta, ma tutta la società civile che deve farsene carico in quanto le appartiene. Per questo riflettere sugli stili di vita vuol dire sempre di più capire: che «non devono toglierci il nostro modo di vivere» come dicono le famiglie; che il rapporto tra medico, paziente e famiglia deve essere ricomposto in quel patto di fiducia che sempre più fonda la nuova medicina; e la necessità che qualcuno, in politica, oltre alle idee, ci metta anche la faccia. Ma chi? Dov’è il pensiero politico nella vita di chi convive con la malattia? A chi interessa elaborare nuovi luoghi per l’abitare, una rete di servizi per gli stati vegetativi e le gravi cerebrolesioni acquisite, non solo vita indipendente e non solo dopo di noi, ma ora, "durante noi"? Noi crediamo che "vivere e vivere bene" abbia la stessa priorità di "morire e morire bene". C’è stato un tempo in cui hanno accolto le nostre domande e ci hanno fatto credere di avere le risposte. Ma quando ci sembrava di avere tutte le risposte ci hanno cambiato le domande. Solo con il coraggio di dare diritto di cittadinanza alle nostre domande potremo elaborare insieme le risposte.

 
*direttore Centro Studi per la Ricerca sul Coma "Gli amici di Luca"

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