mercoledì 1 luglio 2015
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Sulla relazione annuale con cui il Ministero della Salute informa il Parlamento – e i cittadini – sull’attuazione della legge 40, depositata ieri, solo apparentemente campeggia la scritta "nessuna nuova". Ma se non si va in cerca di novità eclatanti ecco che uno sguardo attento ai dati eloquenti scopre alcuni punti significativi (anche assai critici) che vanno evidenziati. E che si possono riassumere estrapolando alcune cifre dalla consueta giungla di puntigliose tabelle snocciolate dai tecnici ministeriali. Anzitutto il lieve aumento dei bambini "figli della provetta" rispetto all’anno della precedente rilevazione (12.187 nel 2013 contro gli 11.974 del 2012) non riesce ancora a far riguadagnare la soglia-record delle 12.506 nascite registrate nel 2010 ma – complice il calo della natalità – fa attestare la quota dei nati da fecondazione artificiale al 2,4% del totale dei bambini che hanno visto la luce nel nostro Paese. Un fatto ormai socialmente rilevante. Ma quel che fa più riflettere è che la quota di embrioni prodotti in laboratorio e poi non impiantati nel grembo della madre ma congelati in attesa di un futuro che il più delle volte è la permanenza indefinita sotto azoto liquido è aumentata in un solo anno del 16,8%, ingigantendo un problema clinico, etico e antropologico del quale non ci si cura come se neppure esistesse. Non sono forse vite umane anche quelle? Se non le si considerassero tali – e figli è la parola giusta per definirle – neppure avrebbe senso che diventassero oggetto di rivendicazioni genitoriali, e persino di furiose contese giudiziarie, come invece accade. Perché allora suscitarle in esubero per poi farne oggetto di abbandono nel limbo dei frigoriferi? Aumenta di pari passo – anche di più: 19,9% di incremento in un anno – il numero di cicli con congelamento di embrioni, ormai uno su cinque. Ma cosa si intende fare delle decine di migliaia di embrioni congelati giacenti anche da anni (si ricorderà il caso della vedova che ha ottenuto l’impianto di embrioni congelati 19 anni fa) nei 369 centri italiani pubblici e privati autorizzati a praticare fecondazione assistita? Domanda evidentemente scomoda, dopo la sentenza del 2009 con la quale la Corte Costituzionale con decisione che oggi si dimostra assai più che discutibile decise di svellere il prudente limite di legge dei tre embrioni realizzabili per ogni ciclo e comunque da impiantare obbligatoriamente proprio per evitare la proliferazione degli "orfani da freezer".C’è infine un ultimo dato rilevante da annotare: ed è il continuo aumento dell’età media delle donne che fanno ricorso alla provetta (36,5 anni), con il 40% di chi vi accede dopo i 40 anni. È il segno della dilagante perdita di consapevolezza sull’età fertile: quando si cerca un figlio troppo avanti con gli anni più facilmente si riscontrano difficoltà e si tenta la strada della tecnologia. Talora ormai fuori tempo massimo: delle donne dai 43 anni in su che avviano cicli di procreazione assistita, ormai pari al 4,6% del totale, il 63,1% non riesce ad avere il figlio tanto desiderato. In generale, peraltro, la vistosa sproporzione tra cicli avviati (91.556) e "bimbi in braccio" (12.187) è il sintomo di una tecnica che se valutata nella percentuale di successi (poco più del 13%) continua a seminare illusioni e promesse del tutto sproporzionate rispetto alle gioie che regala. Ma questo nessuno lo dice.
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