lunedì 19 febbraio 2024
Si allargano le critiche alle "istruzioni tecnico-operative" della giunta regionale per la morte medicalmente assistita. Zuppi: la risposta sono le cure palliative, no a regole diverse in ogni regione
Suicidio assistito, il “no” di medici e politici (del Pd)
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Il fronte del no emiliano-romagnolo al suicidio assistito incassa endorsement autorevoli. Chiara Gibertoni, direttrice generale del Policlinico Sant’Orsola, nell’affermare che la giunta regionale sta operando «per poter garantire un diritto già sancito dalla Corte costituzionale», aggiunge un affondo: «Ritengo che le cure palliative possano essere un aiuto fondamentale per il paziente. Se c’è precocità nell’orientamento, con professionisti che lavorano nella fase acuta, si evita la solitudine nelle fasi finali del percorso terapeutico e di storia clinica di un paziente, che può portare alla necessità di ricorrere al suicidio assistito».

Nei giorni precedenti, 15 medici palliativisti dell’Emilia-Romagna avevano espresso una posizione forte a riguardo, dopo che la presidente del comitato etico-clinico aveva indicato gli hospice tra i luoghi che il paziente può scegliere per il suicidio assistito. I 15 hanno rigettato categoricamente questa affermazione: «In un momento così complesso della vita sociale, non devono rimanere ignorate tutte quelle segnalazioni scientifiche, anche di studiosi della nostra regione, a riprova del fatto che, ove è presente una ben strutturata rete di cure palliative, le richieste di suicidio assistito calano enormemente, finanche di dieci volte. Nell’enorme rispetto della sofferenza di ciascuno, vogliamo continuare a garantire tale rispetto anche per tutte quelle persone che desiderano essere seguite e prese in cura, senza timori o ambiguità di obiettivo del ricovero e della cura in hospice», scrivono.

E mentre il fronte dei favorevoli cerca di puntare sull’emotività, il cardinale Matteo Zuppi torna sul tema con chiarezza: dopo che la delibera regionale ha incassato lo stop del Comitato nazionale di bioetica, in attesa dei pronunciamenti giuridici, «sarebbe curioso e complicato», dice l’arcivescovo di Bologna, «che ogni Regione avesse un diverso approccio per affrontare il problema». Per il presidente della Cei la risposta sono le cure palliative, gli hospice e l’assistenza domiciliare: «Credo che siano sicuramente un modo per evitare di trovarsi di fronte a scelte drammatiche, garantendo quella dignità che vogliamo tutti».

Il consigliere regionale Giuseppe Paruolo, il più sensibile nel suo partito alle ragioni del no, invoca il rispetto reciproco e la libertà di coscienza nel Pd. «Varare una legge sul fine vita sarebbe responsabilità del Parlamento, che da anni è colpevolmente inadempiente. Avrebbe poco senso che a legiferare – magari in modo difforme fra loro – fossero le 20 Regioni - dice -. Ma mentre alcuni sperano che il Parlamento vari una legge che riconosca come diritto, in determinati casi, il suicidio assistito, io mi auguro invece che la legge nazionale si attenga a due no simmetrici, all’accanimento terapeutico e al suicidio/eutanasia, magari approfondendo le questioni dell’area intermedia». Poi, l’affondo etico: per lui è ormai chiaro che l’Associazione Coscioni si batte per il diritto al suicidio tout-court. «Basta leggere dei casi delle persone accompagnate in Svizzera a morire, che ormai non ricadono più nei requisiti previsti dalla sentenza in questione e sovente hanno solo la soggettiva convinzione che sia meglio morire», prosegue Paruolo.

«È difficile tirare un confine chiaro e netto sulla base di una definizione e si troverà sempre un giudice o un comitato etico che, basandosi sulla sofferenza anche solo psicologica ritenuta soggettivamente intollerabile, sarà disposto a fare un “più uno” sull’interpretazione degli altri criteri. Anzi, nei pochi casi che sono già stati esaminati in Italia sulla base della sentenza della Consulta, mi risulta che sia già successo». Idee che Paruolo porta avanti laicamente, senza far mistero della sua fede: a suo dire, in realtà, quasi tutti i colleghi favorevoli non lo sarebbero in modo generalizzato, ma solo nella limitata casistica della sentenza, non rendendosi conto che l’asticella si alzerebbe sempre di più.

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