giovedì 1 giugno 2023
La società che esclude, la Chiesa che deve testimoniare l'appartenenza, le famiglie che chiedono condivisione... Parla la responsabile del Servizio Cei suor Veronica Donatello
Suor Veronica Donatello (al centro) con un gruppo di disabili

Suor Veronica Donatello (al centro) con un gruppo di disabili - .

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La definisce «la seconda tappa del nostro cammino», non «un evento» quella che si apre oggi al Th Carpegna Palace a Roma, per concludersi sabato. È il secondo convegno della Pastorale delle persone con disablità, e suor Veronica Donatello, che è responsabile nazionale del Servizio Cei, è un fiume in piena, pronta a coordinare la tre giorni di lavori che dire intensi è persino riduttivo, cui parteciperanno istituzioni ecclesiastiche, politiche, il mondo dell’associazionismo, le famiglie. « Ecco, il nostro scopo è fare rete per arrivare al progetto di vita, declinato con il nostro titolo “Noi, non loro”». Dove il noi comprende appieno il disabile, con il progetto che Dio ha riservato per lui, «perché – spiega suor Veronica – il Signore non ti guarda come eterno bambino. Ha un cammino per te, ti ha dato un talento». E questo vale per tutti, appunto. Anche per le persone disabili.

Da dove cominciamo? Fare rete può sembrare un concetto dispersivo...

Noi lavoriamo tutto l’anno in tre ambiti del servizio, che sono il mondo dell’abitare, il mondo della pastorale parrocchiale, la transizione di vita. L’obiettivo finale è creare una cultura non solo dell’inclusività ma dell’appartenenza. Che è un po’ più ampia, anche se l’inclusività è già un passo avanti, perché aiuta a rimuovere le barriere.

Cosa si intende per appartenenza?

Appartenere è riconoscere che fai parte di una realtà non per una diagnosi ma in quanto persona. Noi lavoriamo nei territori. La comunità ecclesiale e quella civile sono chiamate a lavorate in rete, a collaborare armonicamente, con la presenza del cardinale Matteo Zuppi e della ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli perché la sfida è fare rete, dare vita a un’efficace sinergia, capace di incidere a fondo sulla società. Noi siamo quel luogo dove si può far rete, dove si condividono esperienze. Da qui il titolo « Noi, non loro». Ci rifacciamo alla Fratelli tutti, n.35, di papa Francesco, lì dove dice: «Voglia il cielo che alla fine non ci siano più gli altri, ma solo un noi». Lavoriamo in tutti gli ambiti e con disabilità diverse.

Far rete tra chi?

Tra le istituzioni civili ed ecclesiali, tra le diocesi, le associazioni, i movimenti, le congregazioni, e anche con il governo e con le Regioni, perché la persona con disabilità vive in un contesto civile ed ecclesiale.

Esistono tanti satelliti, che spesso non comunicano o addirittura si fanno la guerra, che può essere anche una guerra tra poveri. O spesso le realtà esistenti non sono conosciute: molte famiglie vivono una profonda solitudine.

Il convegno è una “agorà”, un crocevia di volti e istanze dove si riflette (nella sessione scientifica) e dove ci prenderemo del tempo per incontrarci, parlare e condividere. Abbiamo più di 320 iscritti, con unicità di esperienze, da contesti diversi.

Come aprire queste realtà per raggiungere le famiglie interessate e più gente che potrebbe essere coinvolta nel lavoro?

Credo che può fare molto il convegno per come lo abbiamo strutturato, con i 18 cantieri sinodali, con 18 aspetti del progetto di vita, che vanno dal cammino di iniziazione cristiana al fine vita, dal lavoro all’affettività, dalla vocazione allo sport, al turismo. Insomma, si toccano tutti i passaggi di vita, e già questi piccoli cantieri permettono di fare rete. Ogni diocesi sta cercando di accogliere e di dare risposte. Il desiderio è che sempre più il processo inclusivo porti a un’appartenenza nei territori.

Nelle grandi città è più difficile fare rete?

Sicuramente nelle piccole realtà è più facile. Avremo un video dell’8xmille che racconta 31 risposte messe in atto nelle diocesi in sinergia con le realtà associative, perché “ I Care” diventi visibile, da Bolzano a Palermo.

Molte realtà nascono dalle famiglie dove non ci sono risposte delle istituzioni e spesso naufragano. In che modo potreste aiutarle?

Con la pastorale familiare stiamo lavorando per formare le diocesi ad accorgersi di loro, a essere prossimi, a stare al loro fianco coinvolgendole nelle varie età della vita. In questo seminario lavoreremo sui sibling (fratelli che hanno fratelli con disabilità), loro passeranno la maggior parte della vita con il loro fratello, un tema nato – come gli altri cantieri – ascoltando il territorio. Mettere in atto piccoli passi possibili che rimangono e diventano uno “stile di appartenenza”, non uno slogan.

Le parrocchie si aprono di fronte alla vostra proposta?

Girando le diocesi italiane, le comunità parrocchiali sono diverse, e di conseguenza lo sono le risposte. Nella maggior parte delle parrocchie sembra che l’accoglienza nel cammino di iniziazione cristiana sia stato messo in atto, altre parrocchie si lasciano provocare e mettono in atto altre risposte, come nell’oratorio, nel mondo dello sport, della ministerialità, in catechesi e liturgia. La sfida è continuare a lavorare sui pregiudizi specialmente verso le persone con autismo, le disabilità complesse... Il Servizio Cei cerca di supportare e formare per creare strumenti di partecipazione attiva. Stare nei crocevia della storia ci provoca ma ci dona tante possibilità di “essere fraternità”. Con i vari uffici della Cei stiamo cercando di metterci in ascolto e di raccontare le sinergie che i territori stanno mettendo in atto per costruire una cultura dell’appartenenza.

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